Parrà incredibile, ma l’Italia – violentata e saccheggiata nel suo patrimonio artistico, soprattutto da francesi e tedeschi(ma non solo) – sta rialzando la testa. Finalmente a Roma si torna a porsi il problema di riportare nel nostro Paese ciò che gli appartiene.

Lo ha capito in anticipo il saggio direttore tedesco degli UffiziEike Schmidt, che nei giorni scorsi ha fatto una sortita clamorosa chiedendo che il suo Paese, la Germania, restituisca il famoso quadro di Jan van Huysum“Vaso di fiori”, che apparteneva alle collezioni di Palazzo Pitti, a Firenze, e fu depredato dai soldati nazistidurante l’occupazione tedesca dell’Italia del 1943-1945. Schmidt lo ha fatto, secondo alcuni, per ingraziarsi il nuovo governo. Di sicuro ha il merito di aver capito che l’aria è cambiata. 

Sulle colossali razzie di tesori d’arte compiuti in Italia da tedeschi e francesi ho scritto, per “Libero”, il 25 novembre scorso, ma si tratta incredibilmente di un argomento tabù nel nostro Paese. 

Soprattutto in questi anni di fanatismo eurista, nei quali bisogna prostrarsi all’Unione Europea e anche solo ipotizzare la restituzione dei tesori saccheggiati può esporre all’accusa di truce sovranismoe bieco nazionalismo.

Avendolo fatto Schmidt che è tedesco gli euristi sono rimasti spiazzati. Egli infatti si è potuto permettere addirittura di aggiungere che“la Germania dovrebbe abolire la prescrizione per le opere rubatedurante il conflitto e fare in modo che esse possano tornare ai loro legittimi proprietari”, sottolineando che “per la Germania esiste comunque un dovere morale di restituire quest’opera al nostro museo: e mi auguro che lo Stato tedesco possa farlo quanto prima”.

Salvatore Giannella, in “Operazione salvataggio”(Chiarelettere), c’informa che in Italia mancano all’appello – dal saccheggio del 1943-1945 – almeno 1653 pezzi(di cui 800 dipinti, decine di sculture, strumenti musicali, tra cui violini Stradivari, e centinaia di manoscritti).

La mossa, meritoria, del direttore degli Uffizi,ha anticipatol’iniziativa del nuovo governo. Il ministro per i Beni e le Attività culturali, Alberto Bonisoli, infatti, ieri ha convocato il comitato istituzionale per analizzare il problema delle nostre opere d’arte che sono state depredatee sono finite all’estero (in epoche diverse e per motivi diversi).

Speriamo che sia la volta buona. Ma è sconcertante anzitutto il problema culturale che riguarda la nostra coscienza nazionale: perché in Italia è totalmente sconosciutociò che è accaduto? 

Né a scuola, né sui media trova spazio questo capitolo tragico e fondamentale della nostra storia. Eppure le razzie e le devastazionisubite hanno ferito non solo il patrimonio artistico delle nostre città, ma anche la nostra identità. L’anima del nostro popolo.

Per questo è meritorio il lavoro dei rari intellettuali che hanno disseppellito tutta questa storia, come Alessandro Marzo Magnocon il libro Missione Grande Bellezza: Gli eroi e le eroine che salvarono i capolavori italiani saccheggiati da Napoleone e da Hitler” (Garzanti)

E’ un libro straordinario, struggente e drammatico nella sua meticolosa ricostruzione dell’immenso patrimonio perduto che racchiudeva la nostra storia e la nostra identità, e che non solo è stato razziato, ma anche distrutto, devastato e disperso.

Il libro di Marzo Magno dovrebbe essere letto in tutte le scuole. Infatti questa vicenda fa anche riflettere su come, nel corso dei secoli, francesi e tedeschi (con Napoleone gli uni e con Hitler gli altri) hanno concepito l’unificazione del continente: come una loro conquista, per sottomettere gli altri popoli europei.

L’Italia è sempre stata considerata terra di conquistaed essendo uno scrigno unico al mondo di bellezza, è stato trattato come un santuario da saccheggiare. Colpisce però il silenziodi gran parte della cultura italiana e della politica su questa vicenda. 

Se vogliamo trovare qualcuno che ha sollevato il problema della restituzione delle opere rubateall’Italia, in tempi recenti, dobbiamo cercare soprattutto all’estero.

Un caso singolare è quello che riguarda la grande e meravigliosa tela di Paolo Veronese “Le nozze di Cana”che – da San Giorgio Maggiore, a Venezia–  fu “prelevata” e portata dai francesi al Louvredove si trova ancora. Il capolavoro, del 1563, è parte dell’immenso saccheggio subito da Venezia.

Qualche anno fa c’è stato chi ha pubblicamente sollevato il problema della sua restituzione, ma non si tratta di un intellettuale italiano. La vicenda è stata ricostruita da Marzo Magno.

Un avvocato parigino, Arno Klarsfeld, scrisse sul “Corriere della sera” del 1° febbraio 1994, che si doveva restituirel’opera del Veronese al luogo per cui fu dipinta, a Venezia: “Il Louvre”scrisse Klarsfeld “ospita il più grande furto pittorico commesso in nome della repubblica… niente giustifica la presenza delle Nozze di Cana nelle sale del Louvre: né le considerazioni d’ordine giuridico, né quelle di ordine artistico”

Poi su “Libération” replicò: “Bisogna restituire le Nozze di Cana a Venezia? Sì! Perché il quadro di Veronese, il più grande del mondo, non si trova più al proprio posto, nella sala del refettorio sull’isola di San Giorgio Maggiore. Refettorio concepito dal più importante architetto del rinascimento, Andrea Palladio, per ospitare la tela del Veronese. […] Un gioiello e il suo scrigno. […] La Francia non ne è proprietaria ad alcun titolo”.

Marzo Magno ricorda che il celebre avvocato, in questa sua battaglia, aveva accanto la sua fidanzata italiana del tempo: Carla Bruni. La quale dichiarava: “Il mio impegno per le Nozze di Cana, dopo che Arno me ne ha parlato, mi sembra più che normale, logico”. 

Ma poi – prosegue Marzo Magno – “come sappiamo, le cose sono andate diversamente. Carla Bruni non è diventata la signora Klarsfeld, bensì la moglie del presidente Nicolas Sarkozy(…) Dopo quella sortita dell’inverno di oltre vent’anni fa, né Arno Klarsfeld, né Carla Bruni sono più tornati sulla vicendadella restituzione del quadro a Venezia”. 

Le opere ancora da recuperaresarebbero moltissime. E non si tratta solo di dipinti, statue o manoscritti. Ci sono le tante cose distrutteche ormai sono perdute per sempre, come la cattedrale di San Pietro ad Alessandria, che era in stile gotico lombardo e che fu abbattutadai francesi nel 1803 per realizzare una piazza d’armi. 

Poi ci sono le opere scomparseche non si sa dove siano. Marzo Magno ricorda, per esempio, che a Venezia “in epoca napoleonica scompare l’archivio musicale del Pio ospedale della Pietà. Comprendeva anche le copie di tutte le partiture di Antonio Vivaldi, che ne era stato maestro di violino per 17 anni. Non si sa che fine abbia fatto… o è stato distrutto o è perduto”

Tuttavia “nel primo caso qualcuno avrebbe dovuto riportare la notizia della distruzione – clamorosa – di una tale mole di documenti. Dunque, ipotizza Fourés, è più probabile che sia perduto”. 

Ciò significa che, un giorno, potremmo ritrovare “le partiture di opere vivaldiane oggi perdute, per esempio l’oratorio Mosè o i concerti dedicati a paesi europei, come la Francia o la Germania, che sappiamo essere stati composti, ma che sono scomparsi”. 

E’ un caso che ha un alto valore simbolico: mentre l’Italia ha dedicato a Francia e Germania le sublimi musiche di Vivaldi, la Francia e la Germania hanno ricambiato invadendo l’Italia per saccheggiarla e distruggerla

Quando diciamo “Europa” dovremmo ricordare questa storia perché insegna molte cose anche oggi.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 10 gennaio 2019

Ma che sta succedendo nella Chiesa cattolica? La situazione non è solo catastrofica: è anche assurda. Infatti la realtà parla di chiese che si svuotanodrammaticamente in Occidente e di un Oriente dove i cristiani sono duramente perseguitati

La realtà parla di sparizione dei tradizionali movimenticattolici, di scontri interni alla Curia, di continui scandalie di enorme confusionefra i fedeli per le trovate rivoluzionariedi papa Bergoglio (che nei giorni scorsi ha pure “dimenticato” il dogma dell’Immacolata Concezione).

Ma di tutto questo gli ecclesiastici non si occupano e non si preoccupano. Ai pastori non interessano le pecore che si stanno smarrendo e disperdendo. 

La casta ecclesiastica è tutta presa dalla politica. E’ una vera febbre. Già questo è surreale, ma non basta. Infatti non vogliono portare nella politica la “dottrina sociale” della Chiesa o i “principi non negoziabili”, come si potrebbe credere. Seguendo il verbo bergogliano hanno un solo tema teologico-politicoda affermare con piglio fondamentalista:i migranti

Dunque i migranti ormai sono diventati la loro bandiera ideologicada sventolare, ma anche, addirittura, una sorta di soggetto messianico con cui ribaltare l’annuncio cristiano, perfino nel presepio: come se gli angeli avessero annunciato ai pastori l’arrivo del “migrante Gesù”, anziché la nascita del Figlio di Dio

Secondo il sentire comune della gente, gli ecclesiastici ormai si occupano solo di migranti, solo di loro parlano. E in effetti le gerarchie clericali si tuffano in politica con il preciso intento fare la guerra a Salvini: è lui il Satana a cui gridare “Vade retro!”, come proclamò la nota copertina di “Famiglia cristiana”

Proprio lui, che pure ha pubblicamente dichiarato di voler difendere le nostre radici cristiane, è il Male contro cui il mondo clericale si mobilita e si scatena.

Ieri Salvini, dall’Abruzzo, ha risposto: “sono un peccatore, ma non fesso. Quest’anno invece che 120 mila, ne sono arrivati solo 20 mila: 100 mila in meno, con un miliardo di risparmio, molti morti in meno e molti reati in meno”.

Significa che il vicepremier non demorde e non vuole che l’Italia torni ad essere il campo profughid’Europa e d’Africa. La maggioranza degli italiani e dei cattolici la pensa come lui

Proprio per questo ormai è continua la “chiamata” all’impegno politico contro Salvini, da parte dell’establishment bergogliano.  

Rispondono “presente” i giornali clericali, la Cei e – sia pure flebilmente – le associazioni cattoliche (o quello che ne è rimasto).

Ieri perfino l’ex presidente della Cei (oggi presidente dei vescovi europei), il cardinal Bagnasco, arcivescovo di Genova, che finora era considerato uno dei pochi rimasti in linea con il magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, si è schierato e si è guadagnato il titolo con cui “La Stampa”ha aperto la prima pagina: “ ‘Obiezione di coscienza’. La mossa della Chiesa contro il decreto sicurezza”.

Il riferimento era proprio all’arcivescovo di Genova: “La carica la suona il cardinale Bagnasco” che – secondo il giornale torinese – “schiera la Chiesa sul decreto sicurezza: ‘Sì all’obiezione di coscienza’”.

Sul caso “migranti della Sea Watch” è intervenuto pure mons. Guerino Di Tora, presidente della commissione per le migrazioni della Cei, che ha tuonato: “Chi si tira indietro non ha la coscienza a posto”.

Anche l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, tuona invitando a non “rimanere in silenzio dinnanzi ai disumani decretiche aggravano la sofferenza di chi è vessato da povertà e guerra”.

Non risulta si siano viste le stesse mobilitazioni, né così aspre denunce della chiesa bergogliana, negli ultimi sei anni in cui, grazie all’euro, alle politiche della UE e ai governi italiani allineati ad essa, da noi sono esplose la povertà e la disoccupazione (con migliaia e migliaia di aziende chiuse). 

Né si ricordano mobilitazioni papali e parole di fuoco in favore delle popolazioni terremotate e dei loro inverni al freddo. Sono solo due esempi (si potrebbero aggiungere la legge sulle unioni civili e altre trovate dei precedenti governi che avrebbero dovuto far reagire la Chiesa).

Nelle (tante) invettive politiche ecclesiastiche non si trova mai la critica all’Unione Europea, anzi: proprio la UE (da non confondere con l’Europa che tutt’altra cosa) sembra sia diventata l’ancora di salvezza politica di questa gerarchia clericale. Proprio questa Unione Europea che è diventata la realtà politica più laicista e anticristiana dell’Occidente. I clericali ne parlano con gli stessi argomenti entusiasti di Emma Bonino.

Quello che però sconcerta la casta ecclesiastica è il fatto che il popolo cattolico non li segua. Anzi, sembra fare la scelta opposta, dando la sua preferenza maggioritaria alla Legae ad altri gruppi sovranisti.

I cattolici, sia quelli più praticanti, che quelli meno praticanti, preferiscono rifarsi a Giovanni Paolo IIe a Benedetto XVI, cioè al tradizionale insegnamento cattolico, piuttosto che alle “rivoluzioni” bergogliane. 

Perciò il disappuntonell’élite clericale è palpabile. Sono generali senza esercito. Lo si percepisce in queste parole di padre Antonio Spadaro, che è lo stratega di papa Bergoglio: “Non basta più formare i giardini delle élite e discutere al caldo dei ‘caminetti’ degli illuminati. Non bastano più le accolte di anime belle… Facciamo discorsi ragionevoli e illuminati, ma la gente è altrove”.

In effetti la gente è altrove, i cattolici dissentono dalla gerarchia bergogliana, applaudendo Salvini. Anche se papa Bergoglio li bastonaproclamando che è meglio essere atei che essere cattolici che rifiutano l’invasione migratoria (oltretutto islamica, dunque assai poco integrabile).

I fedeli cattolici (con tutti gli altri) percepiscono, sulla propria pelle, che questo scombussolamento di popoli che entusiasma le élite (anche dell’Onu), è devastante sia per i paesi di arrivo che per i paesi di partenza(la pensano così anche i vescovi africani).

Dunque padre Spadaro vorrebbe riportare “in linea”la gente che è altrove. Così nei giorni scorsi ha preso la parola per vergareuna sorta di Manifesto politico, pubblicandolo sulla rivista dei gesuiti.

Se il Decalogo dato da Dio a Mosè sul Sinai è chiamato “le dieci parole”, padre Spadaro ha voluto far di meglio: a lui bastano “Sette parole per il 2019”per illuminare le genti (così spera).

Purtroppo però sono parole già sentite e risentite, da anni, in qualunque intervento di esponenti del PD e nei quotidiani articoli di “Repubblica”: la paura, le migrazioni, l’Europa, il populismo, la democrazia…

La sensazione è che tutto questo tuonare poi non porti alla formazione di una lista cattolica alle elezioni europee, perché contarsi sarebbe molto  controproducente. 

I più ritengono che tutto si risolverà in un appoggio ecclesiastico al PD, ancor meglio se guidato da Zingaretti, perché – si dice oltretevere – gli ecclesiastici dell’epoca bergogliana si trovano meglio con i post comunisti che con Renzi.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 6 gennaio 2019

Ieri il caso (o meglio il “casino”) del giorno è stato il post pubblicato dal blog delle Stelle, la voce del M5S, dove testualmente si leggeva: “Il Governo, la Manovra del Popolo. La Democrazia è sotto attacco. E’ in corso una delle più violente offensive nei confronti della volontà popolare perpetrata in 70 anni di storia repubblicana”.

Che stava accadendo? Un golpe militare? Un’invasione aliena? Un’offensiva dell’Isis? Niente di tutto questo. Ce l’avevano con i partiti di opposizione che, com’è ovvio, in Parlamento si oppongono alla manovra economica del governo. Normale dialettica democratica. Infattil’assurdo postè stato subito rimosso e il grillino presidente della Camera, Fico, ha attestato che“la democrazia non è sotto attacco” e che è “diritto”delle minoranze “opporsi alla legge di Bilancio” (chi l’avrebbe mai detto?).

Questo scivolone è il segno del nervosismo del M5Sche qualcuno ritiene vicino all’implosione (con sondaggi in discesa). 

Oltretutto proprio il governo è criticato perché ha fatto approvare al Parlamento la legge di bilancio senza rispettare le modalità di discussione e di approvazione previste dalla Costituzione. Dunque se straparlano, proprio dalla maggioranza, di “attacco alla democrazia” fanno autogol.

Un altro autogol è stato anche l’ennesimo attacco alla stampa (a cui peraltro sono stati tagliati i fondi per l’editoria).

Se a giugno si poteva parlare di “pregiudizio universale” da parte dei media che sparavano a zero contro un governo che era appena nato, oggi, di fronte alla manovra economica dell’esecutivo, i giornali hanno tutto il diritto di esprimere le loro critiche.

L’insofferenzaa tali critiche, l’essere impermeabili alle osservazioni anche costruttivedell’opposizione e la disinvoltura nel ridurre le prerogative del Parlamento, francamente preoccupanopure chi non ha mai avuto pregiudizi verso questo governo e anzi ne ha difeso le ragioni.

E’ vero che giornali e sindacati per anni hanno taciuto (o addirittura applaudito) di fronte ai disastri dei governi precedenti(è la memoria di questi disastri che per ora sostiene nei sondaggi questo esecutivo).

Tuttavia anche l’attuale manovra economica si presta a molte e fondate contestazioni. Le preoccupazioni per il futuro dell’economia(manifestate anche da imprenditori del Nord vicini alla Lega) sono serie ed è soprattutto da Matteo Salviniche ci si aspettano delle risposte.

Perché è lui che ha mostrato più di tutti capacità di leadershipnel governo, avendo di fatto risolto in poche settimane un problema drammatico, come l’arrembaggio migratorio, che per anni era stato fatto subire passivamente all’Italia dai governi precedenti che anzi lo avevano dichiarato irrisolvibile.

Le domandeche anche i suoi estimatori si pongono sono tante. Era proprio necessario pagare un notevole costo economicoper fare oggi una manovra che tre mesi fa avremmo potuto fare gratis e senza doverci umiliare davanti alla Ue, che ne è uscita vincitrice?

Ci possiamo permettere una manovra che non rilancia la crescita, che fa salire la pressione fiscale invece di abbatterla, che dà mance assistenziali ad alcuni e punisce altri senza motivo, in un momento di stagnazione economica e con la prossima fine del QE?

Non si rischia, sbagliando manovra, di riconsegnare l’Italia nelle mani dei governi tecnici“lacrime e sangue” e di far crescere – per rimbalzo disperato – la fiducia verso la fallimentare Ue?

Quale futurodell’Italia si vuole e come si ritiene di costruirlo? Per esempio, i possibili aumenti dell’Iva previsti per il 2020 (per 23 miliardi) e nel 2021 (per circa 29 miliardi) come clausole di garanzia verso la UE, quale governo – e quale Italia – può permettersele senza precipitare?

Certo, ci sono anche cose buone nella manovra, ma nel suo insieme sembra comprometterela già delicata situazione della nostra economia. 

Soprattutto colpisce la mancanza di visione del futurodel Paese. Il governo sembra voler coltivare consensi in vista delle europee, ma non spiega dove sta andando.

Allora va ricordata a Salvini – su cui (come mostrano i sondaggi) si appuntano le speranze di molti – la frase di De Gasperiche proprio lui ha citato nella recente manifestazione di Piazza del popolo, a Roma:“Un politico politicante pensa alle prossime elezioni, uno statista pensa alle prossime generazioni”

Ci servono statisti.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 31 dicembre 2018

A fine anno, per i media, è tempo di oroscopi. Il frivolo divertimento di leggere, sulla nostra vita, “previsioni” che non si avverano mai sembra inspiegabile, eppure fa emergere la brama che abbiamo di cercare, in qualche modo, le tracce del nostro destino

In fondo desideriamo scoprire che la nostra esistenza non è un accidente del caso e non si consuma in un ingorgo di eventi senza scopo, ma che c’è un disegnoe qualcuno lassù ci ha voluti. 

Vorremmo poter dire, come il salmista, a quel Qualcuno: tu mi conosci fino in fondo./Non ti erano nascoste le mie ossa/ quando venivo formato nel segreto./ …Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi/e tutto era scritto nel tuo libro;/i miei giorni erano fissati,/quando ancora non ne esisteva uno”.

Vorremmo essere rassicuratiascoltando parole così: Non lascerà vacillare il tuo piede,/ non si addormenterà il tuo custode/ …Di giorno non ti colpirà il sole,/ né la luna di notte./ Il Signore ti custodirà da ogni male:/ egli custodirà la tua vita”(e sto citando ancora parole dei salmi).

Ma noi siamo così evoluti, nel XXI secolo, che liquidiamo con un sorrisetto la Sacra Scrittura. Ci riteniamo “superiori”. Però siamo incuriositi dagli oroscopi e interpelliamo gli astri.

Da dove vengono gli oroscopi? Fin dalla notte dei tempi gli uomini hanno scrutato il cielo stellato pensando che nella misteriosa scritturadella volta celeste fosse svelato l’enigma di ciò che accade sulla terra.

Ma quando e perché è nato lo Zodiaco? Tutti gli indizi portano in Mesopotamiae in particolare ai Sumeriattorno al IV millennio a.C. Questo straordinario popolo “inventò” lo Zodiaco per motivi scientifici, dopo una millenaria e acutissima osservazione dei movimenti dei corpi celesti.

“Le costellazioni dello Zodiaco” scrive Elio Cadelonon furono fissate a caso, ma in maniera razionale e ‘scientifica’: furono fissate una ogni 30°lungo l’eclittica corrispondenti ad un’ora sumerica. In altre parole, a quel tempo, ogni ora sorgeva e tramontava una costellazione nel cieloo, se si preferisce, l’apparizione nel cielo notturno di una nuova costellazione indicava il trascorrere di un’ora. Furono le 12 costellazionia dividere il tempo del giorno che, in base al sistema sessagesimale, fu di 12 ore. Ma i Sumeri” aggiunge Cadelo “fecero di più. Suddivisero anche l’anno in 12 mesie ogni segno zodiacale sull’eclittica corrispondeva  a un mese dell’anno che fu chiamato ‘la via di Anu’. Un sistema perfetto”.

Dunque, secondo Ruppert Gleadow, “lo Zodiaco  crebbe (e non poteva essere altrimenti) come un congegno per misurare il tempo. Solo più tardi poté essere usato per la divinazione ed ancora dopo per l’analisi del carattere”.

E’ evidente che queste antiche civiltà avevano acquisito ed elaborato conoscenze (anche matematiche) davvero molto significative. Peraltro il cielo stellatoveniva da loro usato anche come una perfetta macchina per l’orientamento nella navigazione in mare aperto.

Uno degli aspetti più stupefacenti è il fatto che lo Zodiaco era conosciuto da gran parte delle popolazioni e delle civiltà antiche, anche quelle che si riterrebbero isolate, per lontananza, dalle altre. Cosa che suscita molti interrogativi sulla circolazione delle conoscenze, ma anzitutto sulle rotte di navigazione percorse da quegli antichi uomini che probabilmente ebbero una capacità per noi sorprendente di solcare i mari.

Quindi, diversamente da ciò che crediamo non c’è stato in questo caso un “pensiero magico” che ha preceduto il pensiero scientifico, ma, al contrario, lo Zodiaco nasce come astronomia e solo molto tempo dopo diventa astrologia.

Quello che resta immutatonel corso dei millenni èlo stuporeper la magnificenza della volta stellata e per la meccanica celeste. 

Piero Boitani, che ha dedicato un bellissimo libro “Il grande racconto delle stelle” (Il Mulino)alle stelle nella letteratura, da Omero ai giorni nostri, fa capire che lo scienziato di oggi e Giacomo Leopardi, il quale contemplava da poeta le “vaghe stelle dell’Orsa”, sono accomunati proprio dalla stessa meravigliaper la bellezza.

Boitani cita infatti queste parole del grande matematico Henri Poincaré: “Lo scienziato non studia la natura perché ciò è utile, la studia perché ne prova piacere e ne prova piacere perché essa è bella. Se la natura non fosse bella non varrebbe la pena di conoscerla e la vita non varrebbe la pena di essere vissuta(…) parlo di quella bellezza (…) che viene dall’ordine armonioso delle partie che un’intelligenza pura è capace di afferrare”.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 30 dicembre 2018

“Di nuovo soli”è il titolo dell’ultimo libro di Zygmunt Bauman, delle cui opere in genere si ricordano solo i titoli. In effetti la parola solitudinefotografa davvero lo stato d’animo generale di questo Natale 2018in cui nessuno attende più nulla, perché non ci sono più speranze

Senza speranza ci si arrangia vivendo alla giornata. Ma si riempie il vuoto della vita con le parole (vuote anch’esse): di politica, di economia, di varia umanità, di cazzeggio, di religione ormai diventata una chiacchiera mondana (sull’emigrazione, il clima o la spazzatura differenziata). 

Nell’epoca del “secondo me” vero e falso si confondono, per cui non resta che insultarsi. Nulla compie le attesee nulla guarisce il doloregli uomini.

Fra le rare parole che dicono ancora qualcosa ci sono quelle della poesia. Per esempio, sembrano scritti oggi i “Cori da La Rocca” di Thomas S. Eliot:

“Il destino degli uomini è infinita fatica 

oppure ozio infinito, il che è anche peggio,

oppure un lavoro irregolare, il che non è piacevole”.

Il poeta inglese continua: 

Il mondo rotea e il mondo cambia,

Ma una cosa non cambia.

… Comunque la mascheriate, questa cosa non cambia:

La lotta perpetua del Bene e del Male.

Dimentichi, voi trascurate gli altari e le chiese;

Voi siete gli uomini che in questi tempi deridono

Tutto ciò che è stato fatto di buono,

trovate spiegazioni

Per soddisfare la mente razionale e illuminata.

E poi trascurate e disprezzate il deserto.

Il deserto non è così remoto nel tropico australe,

Il deserto non è solo voltato l’angolo,

Il deserto è pressato nel treno della metropolitanaPresso di voi, il deserto è nel cuore di vostro fratello”.

Poi il tono del poeta diventa fiammeggiante come quello di un profeta

“Il Verbo del Signore mi giunse dicendo:

O città miserabili d’uomini intriganti,

O sciagurata generazione d’uomini colti,

Traditi nei dedali del vostro stesso ingegno,

Venduti dai profitti delle vostre invenzioni:

Vi ho dato mani che distogliete dall’adorazione,

Vi ho dato la parola, e voi l’usate in infinite chiacchiere

… Leggete molto, ma non il Verbo di Dio.

Costruite molto, ma non la Casa di Dio”.

Le “infinite chiacchiere”sono un rumore di fondo che si fa assordante e non c’è una sola parola che riempia la solitudine. Una colossale nube tossica di parole avvolge il mondo e tutto si fa ogni giorno più complicato e cattivo. Si brama il silenzio. Ma dove trovarlo?

E’ la Parola di Dio che nasce nel silenzio. Il Nataleè l’avvenimento di Dio che si fa uomo per colmare l’attesa e la solitudine degli uomini, ma tutto avviene nel silenzio

Per raccontare l’unica vera rivoluzione della storia, il Vangelo non riporta nemmeno una parola di Maria e di Giuseppe, lì nella grotta. Viene al mondo il Verbo di Dio, la Parola creatrice di tutto l’universo nel più grande silenzio.

Dunque, il “silenzio di Dio” non è il segno della sua terribile lontananza o addirittura della sua indifferenza, ma, al contrario, della sua presenza, del suo amore appassionato, vivo e operante. 

Tuttavia per riconoscerequesta eccezionale presenza divina bisogna saper leggere i segni. Sia ai pastori che ai Magi – i primi che lo riconobbero – furono dati dei segni.  

Ai Magila stella che – per la loro cultura – significava la nascita di un re in Israele. Ai pastoriil segno di un bambino in una mangiatoia. A loro infatti l’angelo disse: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. 

Un Salvatore del mondo che nasce in una stalla sembra un segno contraddittorio, assurdo. Eppure Dio è un Re che si abbassa e si umiliaa tal punto per amore. E’ l’amore che si manifesta nell’umiltà e nel silenzio.

Il Vangelo infatti prosegue:“E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama’ ”
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Il papa  Benedetto XVI spiegava:

“Fino a quel momento gli angeli avevano conosciuto Dio nella grandezza dell’universo, nella logica e nella bellezza del cosmo che provengono da Lui e Lo rispecchiano. Avevano accolto, per così dire, il muto canto di lode della creazione e l’avevano trasformato in musica del cielo. Ma ora era accaduta una cosa nuova, addirittura sconvolgente per loro. Colui di cui parla l’universo,il Dio che sostiene il tutto e lo porta in mano – Egli stesso era entrato nella storia degli uomini, era diventato uno che agisce e soffre nella storia.Dal gioioso turbamento suscitato da questo evento inconcepibile, da questa seconda e nuova maniera in cui Dio si era manifestato – dicono i Padri – era nato un canto nuovo, una strofa del quale il Vangelo di Natale ha conservato per noi: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini’.(…). La gloria di Dio è nel più alto dei cieli, ma questa altezza di Dio si trova ora nella stalla, ciò che era basso è diventato sublime. La sua gloria è sulla terra, è la gloria dell’umiltà e dell’amore”. 

Il papa proseguiva: 

la gloria di Dio è la pace. Dove c’è Lui, là c’è pace. Egli è là dove gli uomini non vogliono fare in modo autonomo della terra il paradiso, servendosi a tal fine della violenza. Egli è con le persone dal cuore vigilante; con gli umili e con coloro che corrispondono alla sua elevatezza, all’elevatezza dell’umiltà e dell’amore. A questi dona la sua pace, perché per loro mezzo la pace entri in questo mondo”.

Benedetto XVI– il “dolce Cristo in terra” che per anni ci ha affascinato con il suo insegnamento – oggi è diventato anch’egli una presenza silenziosa.

In questo tempo smarrito, di uomini soli, che hanno abbandonato Dio e disertano le chiese, riempiendo il vuoto con “infinite chiacchiere” (o – come dice Eliot – con “usura, lussuria e potere”), Dio sembra aver dato di nuovo il segno della sua presenza viva e potente connotata dal silenzio.

E’ appunto il silenzio di Benedetto XVI. Da sei anni, per la prima volta nella storia, abbiamo un Papa che parla con la sua presenza misteriosamente silenziosa. Perché viviamo un tempo eccezionale. 

Alla modernità che, nel XX secolo, ha devastato il mondo con le sue ideologie e poi ha accusato Dioper il suo silenzio, giudicandolo come indifferenza di fronte alle sofferenze umane, alla modernità che ha ridotto Dio al silenzio, che non lo ascolta più, che lo ha imbavagliato e dimenticato, Dio risponde con un silenzio che ha un volto e un nome di padre.

Il grande cardinale Robert Sarahha scritto un libro bellissimo, “La forza del silenzio (contro la dittatura del rumore)”. Un libro che a me sembra proprio dedicato a Benedetto XVI, a far capire la grandezza della sua attuale testimonianza silenziosa.

papa Benedetto, nella prefazione a questo volume, ha ricordato le parole di S. Ignazio di AntiochiaÈ meglio rimanere in silenzio ed essere, che dire e non essere”

Il silenzio di Dio porta sempre grandi cose.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 24 dicembre 2018

C’è, da tempo, un ritornello luogocomunista che parla della Chiesa come un’istituzione sessuofoba e repressivala quale avrebbe distrutto la “joie de vivre” che – a quanto si dice – caratterizzava le antiche civiltà pagane, libere dal moralismo cattolico. Dalla secolare “repressione” clericale e dalle sue proibizioni – secondo questa narrazione – deriverebbero i sensi di colpa e le nevrosi di cui ancora dovremmo liberarci.

Bene, se avete sentito ripetere questa cosa (e di sicuro l’avrete sentita in mille salse), sappiate che non è vera. E’ una colossale ed epocale bufala.

Ad affermarlo non è un “bigotto”, ma è addirittura uno dei grandi maestri dell’occidente laico moderno, uno che sicuramente non può essere sospettato di “cattolicesimo”: Michel Foucault.

Gallimard ha pubblicato, in Francia, la sua opera postuma “Les aveux de la chair”(Le confessioni della carne), quarto volume della sua “Storia della sessualità”

Un testo erudito dove il pensatore francese – con un’attenta analisi dei testi della cultura classica e della patristica – demolisce proprio l’idea oggi dominante per cui la sessualità sarebbe stata repressa per secoli dalla Chiesa, mentre nella modernità tornerebbe ad esprimersi liberamente, come nell’antichità pagana, grazie all’emancipazione che ci libera dai vincoli moralistici del cristianesimo.

Foucault scrive: 

“La ‘carne’ deve essere intesa come un modo dell’esperienza, cioè come un modo di conoscere e trasformare se stessi, secondo una certa relazione tra l’annullamento del male e la manifestazione della verità. Con l’arrivo del cristianesimo non si è passati da un codice tollerante nella sessualità ad un codice rigoroso, restrittivo e repressivo. È necessario pensare diversamente i processi e le loro articolazioni: la costituzione di un codice sessuale, organizzato attorno al matrimonio e alla procreazione, è stato in gran parte iniziato prima del cristianesimo, fuori di esso, accanto ad esso. Il cristianesimo lo ha fatto proprio nelle cose essenziali. E fu nel corso dei suoi sviluppi successivi e attraverso la formazione di certe tecniche dell’individuo – disciplina penitenziale, ascetismo monastico – che si formò un tipo di esperienza la quale fece sì che quel codice giocasse in un modo nuovo, prendendo forma, in un modo molto diverso, nella condotta degli individui”.

Così scopriamo che tutto ciò che viene addebitato alla Chiesa come colpa (lo scopo procreativo della sessualità nel rapporto coniugale, l’obbligo di fedeltà, il rifiuto degli atti omosessuali eccetera) è un codice che era già stato elaborato dal pensiero classico, cioè dai filosofi dell’epoca pagana.

La Chiesa lo ha fatto proprio (fondendolo con l’insegnamento della Sacra Scrittura) senza accentuare affatto il rigore e i sensi di colpa, ma anzi spalancando un orizzonte nuovo e liberante, che è quello del perdono insieme all’ascesi per la vita eterna. 

La Chiesa ha fatto irrompere la potenza della grazia dei sacramenti e della misericordia nel caotico guazzabuglio delle passioni umane, rendendo capaci gli uomini normali di realizzare ciò che i filosofi antichi consideravano l’ideale. 

In sostanza il cristianesimo ha inscritto l’esperienza dell’amore terreno nell’orizzonte del grande Amoreper cui è fatto il cuore umano: Dio, l’infinito fattosi carne e rivelatosi storicamente con il volto di Gesù Cristo.

Leggendo le pagine di Foucault si direbbe che trova conferma nella cultura classica quanto la Chiesa insegna a proposito di “legge naturale” e di “famiglia naturale”.

Foucault intuisce e spiega che il cristianesimo non ha affatto cercato di annientare l’esperienza della sessualità. Tuttavia non va oltre. 

La cultura moderna non fa i conti davvero e fino in fondo con l’annuncio cristiano. Se ci provasse scoprirebbe che il cristianesimo – oltre a non disprezzare la carne – spalanca l’orizzonte più esaltante alla corporeità umana.

Giorgio La Piraprovocatoriamente sosteneva che il cristianesimo è l’unico, vero materialismoperché annuncia che Dio stesso si è fatto carne e addirittura che la nostra stessa carne risorgerà e vivrà eternamente. 

Anche il teologo Romano Guardiniaccentuava questo che è l’aspetto centrale del cristianesimo – legato all’incarnazione e alla resurrezione del Figlio di Dio – perché è proprio questo l’essenziale che viene oggi dimenticato. Dall’esperienza della vita divina, partecipata già sulla terra attraverso la vita comunitaria e i sacramenti, ne escono trasfigurate anche la corporeità e la sessualità, come ci mostra la grande letteratura monastica di oriente e di occidente.

Resta da chiedersi se la cosiddetta rivoluzione sessualeche, da alcuni decenni, avrebbe emancipato i moderni dal cristianesimo abbia portato la felicità promessa o se invece – come a me pare – si sia risolta nel tragico fallimentodi tutte le altre rivoluzioni.

L’ultimo Pier Paolo Pasoliniintuì che proprio la cosiddetta liberazione sessuale stava diventando l’estremo, raffinato strumento del potereper stabilire la più brutale delle dominazioni sull’anima degli individui e sui loro corpi. 

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Antonio Socci

Da “Libero”, 23 dicembre 2018

Ecco come parla il Vicario di Cristo. Il silenzio orante di oggi di Benedetto XVI (in preghiera per tutti noi) fa risuonare la bellezza del suo insegnamento che dobbiamo custodire. E’ impressionante il confronto con le banalità da comizianti che altri ripetono noiosamente e ossessivamente, imitando le sciocchezze mondane e gli slogan di un qualunque partitello di sinistra. Dovremmo ringraziare Dio di avere un padre come Benedetto XVI, che ci parla di Gesù con parole così toccanti e col suo silenzio misterioso e denso di sacrificio. L’umanità ha fame e sete, ma fame e sete di vedere il volto di Dio, di incontrare finalmente l’Amore folle di Dio, di trovare il senso della vita e la salvezza

“(…) Fino a quel momento – dicono i Padri – gli angeli avevano conosciuto Dio nella grandezza dell’universo, nella logica e nella bellezza del cosmo che provengono da Lui e Lo rispecchiano. Avevano accolto, per così dire, il muto canto di lode della creazione e l’avevano trasformato in musica del cielo.

Ma ora era accaduta una cosa nuova, addirittura sconvolgente per loro. Colui di cui parla l’universo, il Dio che sostiene il tutto e lo porta in mano – Egli stesso era entrato nella storia degli uomini, era diventato uno che agisce e soffre nella storia.

Dal gioioso turbamento suscitato da questo evento inconcepibile, da questa seconda e nuova maniera in cui Dio si era manifestato – dicono i Padri – era nato un canto nuovo, una strofa del quale il Vangelo di Natale ha conservato per noi: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini’.

(…). La gloria di Dio è nel più alto dei cieli, ma questa altezza di Dio si trova ora nella stalla, ciò che era basso è diventato sublime. La sua gloria è sulla terra, è la gloria dell’umiltà e dell’amore.

E ancora: la gloria di Dio è la pace. Dove c’è Lui, là c’è pace. Egli è là dove gli uomini non vogliono fare in modo autonomo della terra il paradiso, servendosi a tal fine della violenza. Egli è con le persone dal cuore vigilante; con gli umili e con coloro che corrispondono alla sua elevatezza, all’elevatezza dell’umiltà e dell’amore. A questi dona la sua pace, perché per loro mezzo la pace entri in questo mondo (…)”.

BENEDETTO XVI

Basilica di San Pietro, 25 dicembre 2008 

Mario Draghisi laureò nel 1970, alla Sapienza di Roma, sotto la guida del grande economista Federico Caffè, con una tesi intitolata: “Integrazione economica e variazione dei tassi di cambio”. 

In sostanza Draghi, con Caffè come relatore, sosteneva “che la moneta unica (europea) era una follia, una cosa assolutamente da non fare”.

La cosa deve imbarazzarlo, oggi che è presidente della Banca centrale europea, cioè “Mister Euro”, infatti quando gli viene ricordata la liquida con una battuta. Ma senza spiegare perché ha cambiato idea. Non poteva certo essere una tesi campata per aria quella che fu presentata – nientemeno – da Caffè.

Del resto negli anni successivi, quando la moneta unica europea cominciò davvero a essere realizzata, fior di premi Nobel per l’Economia affermarono che era una follia(come aveva argomentato il giovane Draghi). 

Personalità come Milton Friedman (“la spinta per l’Euro è stata motivata dalla politica, non dall’economia… esacerberà le tensioni”), Paul Krugman (adottando l’euro, l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera con tutti i danni che ciò implica”), Joseph Stiglitz (“questa crisi, questo disastro è artificiale e in sostanza ha un nome di quattro lettere: euro”).

Poi Amartya Sen: “l’euro è stata un’idea orribile… Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata…Quando tra i diversi Paesi hai differenziali di crescita e di produttività, servono aggiustamenti dei tassi di cambio. Non potendo farli, si è dovuto seguire la via degli aggiustamenti nell’economia, cioè più disoccupazione e taglio dei servizi sociali. Costi molto pesanti che spingono verso un declino progressivo”.

Addirittura James Mirrless, rivolto agli italiani, ha dichiarato: “guardando dal di fuori, dico che non dovreste stare nell’euro, ma uscirne adesso”. E Christopher Pissarides, un tempo sostenitore dell’euro, oggi è passato sul fronte opposto: “La situazione attuale non è sostenibile ancora per molto. E’ necessario abolire l’Euro per creare quella fiducia che i Paesi membri una volta avevano l’uno nell’altro”.

L’euro più che una moneta è un progetto politico e non ha giustificazioni economiche, riflette solo la strategia tedesca di egemonia continentale. Per questo crea divisione e conflitti. 

Non a caso la Gran Bretagna(che non ha mai aderito all’euro, perché secondo la Thatcher era una minaccia per la democrazia) si è tirata fuori pure dalla UE.

A vent’anni dalla nascita dell’euro è toccato proprio a Mario Draghi, l’altroieri, celebrare il funesto evento con una conferenza a Pisa. Ha affermato che “l’unione monetaria è stata un successo sotto molti punti di vista”. Una perifrasi che, tradotta, significa: è stata per metà Europa una sciagura, ma non possiamo dirlo. 

Anche se la gente se n’è già accorta da sola, sulla propria pellee sulle proprie tasche, come dimostra (dopo il disastro della Grecia) la sollevazione popolare in Franciae il voto del 4 marzo in Italia, dove venti anni di moneta unica hanno prodotto milioni di poveri, ci hanno fatto perdere più del 20 per cento di produzione industriale, hanno messo in ginocchio il ceto medioe hanno fatto sprofondare nella disoccupazione o nella sotto occupazione un’intera generazione di giovani.

Per cascare in piedi, Draghi ha pure ammesso che il “successo” dell’euro tuttavia non ha “prodotto i risultati attesi in tutti i Paesi”. L’ennesima perifrasi per dire che la Germania con l’euro ha fatto un affarone, mentre gli altri hanno preso il pacco.

Peraltro proprio Draghi è tornato a parlare di uscita dall’euro (“uscire dall’euro non garantisce più sovranità”). Ma non dicevano che era irreversibile?

Si può considerare il discorso di Draghi come sintomo della disperazionedi una UE che sta esplodendo. Ma è anche vero che il suo è stato un discorso da politico. E c’è chi, nel Palazzo, pensa a lui, presto in uscita dalla Bce, come a un nuovo Monti per “commissariare” il nostro Paese nei prossimi mesi. E’ più di un’ipotesi ed è molto preoccupante.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 17 dicembre 2018

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cristiani del Medio Oriente, finora martirizzati, perseguitati, dispersi e ignorati da tutti, hanno finalmente un difensore

Non si trova in Vaticano, ma a Washington, precisamente alla Casa Bianca. Il presidente Donald Trumpha infatti firmato l’“Iraq and Syria Genocide Relief and Accountability Act (HR390)”, cioè una legge che riconosce il “genocidio”in corso, perpetrato dai gruppi Jihadisti ai danni di cristiani e yazidi.

È una legge che obbliga formalmente il governo americano ad andare in soccorso di queste popolazionianche con progetti umanitari che difendano le minoranze religiose e stabilizzino quelle aree. Inoltre tale legge permette all’amministrazione Usa di intervenire contro i persecutori, per dare la caccia ai terroristiche si macchiano dei crimini più efferati.

Per la firma di Trump, a questo atto solenne, hanno esultato i cristianidel Medio Oriente e quelli americani, insieme con i loro vescovi.

Gelida invece la reazione negli ambienti vaticani: è il Vaticano di papa Bergoglio, dove si detesta Trump, dove non si muove un dito per i cristiani perseguitati e dove invece si preferisce caldeggiare – quotidianamente e ossessivamente – le migrazioni di massa (specie musulmane) in Italia e in Europa.

Il cinismodel Vaticano bergogliano nei confronti dei cristiani perseguitati si è reso evidente in una recente dichiarazione del Segretario di Stato di Bergoglio, il cardinale Parolin, una dichiarazione che ha dell’incredibile.

Come riporta l’Agenzia dei vescovi italiani, Sir, Parolin è stato interpellato sulla tragedia di Asia Bibi, la donna pakistana, madre di cinque figli, che, per la sua fede cattolica, era stata accusata falsamente di blasfemia. Asia ha sopportato quasi dieci anni di carcere durissimo, rifiutando di convertirsi all’Islam, è stata condannata a mortein due gradi di giudizio e infine è stata assoltadalla Corte Suprema del Pakistan.

Com’è noto la donna e la sua famiglia ora vivono braccatidai fanatici e suo marito ha chiesto asilo politico in diversi Paesi. La famiglia è poverissima ed è ad altissimo rischioin Pakistan.

Ebbene Parolin, il numero 2 della chiesa di Bergoglio, interrogato su questo caso, che ha commosso e indignato il mondo intero, ha dichiarato che attualmente non c’è nessuna attività diplomatica della Santa Sede per Asia Bibie la sua famiglia. Poi ha testualmente aggiunto:“È una questione interna al Pakistan, spero possa risolversi nel migliore dei modi”.

Come dire: chi se ne frega, la cosa non ci riguarda. La sconcertante dichiarazione dell’uomo di punta del Vaticano ha scandalizzato molti, pur essendo passata in sordina sui media. Infatti le gravi violazioni dei diritti umani non sono mai un affare interno di un regime, ma chiamano in causa tutti gli uomini e tutti i popoli. Lo proclama quella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”di cui proprio in questi giorni il mondo ha celebrato i 70 anni (dall’approvazione all’Onu). 

Ma soprattutto è sconcertanteche sia il vertice della Chiesa a lavarsi le manicosì platealmente della sorte di una donna condannata a morte per la sua fede cattolica e oggi minacciata con tutta la sua famiglia. Sono parole inauditeche cestinano pure il Vangelo, oltre al semplice senso di umanità.

Purtroppo però la scelta di questo pontificatosembra proprio quella di non disturbare i regimi che perseguitano i cristiani, “sacrificando”, all’abbraccio con i dittatori, i diritti fondamentali dei perseguitati per la fede: lo dimostra anche il recente accordo del Vaticano con il regime comunista cineseche ha scandalizzato sia i cattolici perseguitati della Cina, sia i cattolici del mondo libero.

Peraltro lo stesso card. Parolin – contraddicendosi platealmente– ha poi rilasciato un’altra dichiarazione sconcertante.

Intervistato da Rai Newsil 13 dicembrescorso sul “Global Compact” sull’immigrazione, ha sostenuto, a nome del Vaticano, che “poter migrare è un diritto”, mentre, per gli Stati come l’Italia, “il diritto a non accogliere non c’è”.

Un’idea del genere, grottesca fino al ridicolo (oltreché inquietante), di per sé distrugge la sovranità di qualunque Stato, perché se uno Stato non può controllare le sue frontiere ed è costretto a subire qualsiasi emigrazione di massa, non esiste più come Stato.

Basti pensare all’Italia che dovrebbe rassegnarsi, senza poter fare nulla, alla potenziale emigrazione sul suo territorio di centinaia di milioni di persone dall’Africa. Sarebbe davvero un’invasione e con effetti apocalittici.

L’aspetto surreale delle posizioni espresse dal numero 2 di Bergoglio è questo: mentre il Vaticano non intende disturbare i regimi dove sono violati i diritti umani fondamentali (perché sono questioni interne), lo stesso Vaticano nega a paesi liberi e democratici di esercitare una loro fondamentale prerogativa, quella di controllare le proprie frontiere, e decidere se e quale politiche migratorie praticare.

Tutto questo, peraltro, mentre il Vaticano, circondato da alte mura, è l’unico Stato che non ha accolto e non accoglie nessun migrante e nessun profugo. Tanto meno accolgono la famiglia di Asia Bibi che, per la fede cattolica, è gravemente a rischio. Eppure oltretevere vi sono grandi palazzi e lussuosi appartamenti, occupati da prelati che poi fanno prediche agli altri sul dovere dell’accoglienza.

Gesùcosì tuonava contro alcuni esponenti del potere religioso del suo tempo: dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23, 3-4).

Si ha la netta sensazione che a questo Vaticano importi assai poco pure dei migranti, ma li usa ideologicamentesecondo l’Agenda Obama che poi è l’Agenda Onu. Nella stessa direzione del “Global compact for migration” che produrrebbe una destabilizzazione globalecolpendo la sovranità degli Stati e le identità dei popoli

Per l’Italia, per l’Occidente e per la Chiesa le posizioni di Bergoglio sono devastanti. Anche sul Global Compact – come sui cristiani perseguitati – meno male che c’è Trump.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 16 dicembre 2018

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Dal 2013, anno di arrivo di papa Bergoglio, ad ogni Natale, immancabilmente, si rilancia l’idea della Sacra Famiglia come una famiglia di migranti.Con un evidente sottinteso politico.

Quest’anno papa Bergoglio ha perfino fatto inviare una lettera, della “sezione migranti” del Vaticano, a don Biancalani, che si conclude con la formula: “In Cristo Migrante”.

In diversi luoghi si allestiscono presepi bergogliani sul tema migratorio. Ad Acquaviva delle fonti, in provincia di Bari, hanno realizzato un presepio (vedi foto) dove Giuseppe e Maria sono due migranti che stanno affogando in un mare di bottiglie e Gesù bambino (di colore) sta dentro un salvagente.

Ma è fondata questa idea del “Cristo Migrante”? La risposta è semplice: no. Il Vangelo racconta una storia del tutto diversa.

LA VERA STORIA

Intanto va detto che il popolo d’Israele, duemila anni fa, soffriva la dominazione romana ed era così forte l’anelito alla libertà e all’indipendenza che immaginava il Messia come liberatore politico del suo popolo dall’oppressione dello straniero.

 I Romani imposero un censimento dei loro sudditi. Così anche Giuseppe e Maria partono da Nazaret(dove abitava Maria e dove, probabilmente, viveva anche Giuseppe) versoBetlemme, non come migranti verso una terra straniera, ma, cometutti gli ebrei del tempo, per espletare le pratiche del censimento.

Siccome Giuseppe – che era il capofamiglia e quindi il “rappresentante legale” – apparteneva alla tribù di Giuda, per la precisione al casato di re Davide – dovettero andare a Betlemme che era la città d’origine della sua famiglia.

Ciò significa che andando a Betlemme non emigrarono in una terra straniera, anzi, il contrario: Giuseppe tornò nella sua patria, nella quale egli era addirittura conosciuto come uomo di stirpe regale.

Anche se la discendenza davidica, nel corso dei secoli, era decaduta e Giuseppe faceva l’artigiano (diciamo che apparteneva al ceto medio di allora), formalmente poteva essere considerato un principe nella sua terra.

Probabilmente, a Betlemme, Giuseppe aveva ancora delle proprietà, un po’ di terra, perché in seguito Egesippo, al tempo di Domiziano, testimonia che i parenti di Gesù sono ancora vivi e conosciuti e hanno dei campi che lavorano personalmente e che, secondo gli storici, dovevano trovarsi proprio nell’“ager Bethlemiticus”.

L’ALBERGO

Il viaggio verso Betlemme, in carovana con altri, durò qualche giorno e fu molto faticoso perché Maria era al nono mese di gravidanza e all’arrivo a Betlemme già stavano cominciando i segni del parto imminente.

Il Vangelo di Luca ci dice che “non c’era posto per loro nell’albergo” (2,7). Ma cosa significa in questo caso la parola “albergo”? E perché “per loro”?

Non si tratta degli alberghi di oggi. Siccome Betlemme era un punto di passaggio delle carovane che scendevano in Egitto, lì si trovava, da tanto tempo, un luogo di sosta per tali carovane (appunto un caravanserraglio, in ebraico “geruth”, foresteria) che era stato costruito da Chamaan, forse figlio di un amico di Davide.

Giuseppe Ricciotti, nella sua “Vita di Gesù Cristo” spiega che, all’arrivo di Maria e Giuseppe, “il piccolo villagio rigurgitava di gente, che si era alloggiata un po’ dappertutto a cominciare dal caravanserraglio”.

Il quale era “un mediocre spazio a cielo scoperto, recinto da un muro piuttosto alto” con “un portico di riparo” e con “le bestie che erano radunate in mezzo al cortile”.

In quel frastuono di gente ammassata “si questionava d’affari e si pregava Dio, si cantava e si dormiva, si mangiava e si defecava”.

Perciò quando l’evangelista dice che “non c’era posto per loro”, bisogna intendere – spiega Ricciotti – che per le particolari condizioni di Maria, in procinto di partorire, non era un luogo adatto. Non c’era la riservatezza che era necessaria a una giovane partoriente.

Non si sa se Giuseppe poté cercare nelle case di amici e parenti (anch’esse piene di gente) o se – vista l’assoluta urgenza – decise velocemente di riparare nella solitudine di quel ricovero per animali che forse poteva trovarsi proprio nella terra di sua proprietà.

Anche quello era ovviamente un luogo sporco, ma se non altro era solitario, tranquillo e garantiva la riservatezza.

STABILITI A BETLEMME

Dopo il parto, fatto in condizioni di emergenza, Giuseppe poté trovare subito un alloggio e infatti la famiglia di Gesù si stabilì col bambino a Betlemme, che era appunto la città di Giuseppe e di Gesù, il quale, non a caso, da adulto verrà definito dalla gente “figlio di David”, discendente di Re David (come le profezie dicevano del Messia). Gesù in effetti era anche lui di stirpe regale, era un principe del suo popolo.

Proprio questo scatenò Erode. Avendo saputo, nei mesi successivi alla sua nascita, dai Magi, che era venuto alla luce un potenziale pretendente al regno d’Israele e che era nato a Betlemme, Erode (idumeo per parte di padre e arabo per parte di madre) cercò di eliminarlo.

I Magi, che arrivarono a rintracciare Gesù alcuni mesi dopo la sua nascita (quindi in una abitazione di Betlemme, non più nella grotta), avevano lasciato al bambino oro incenso e mirra.

Quell’oro fu molto importante per la Sacra Famiglia che dovette sfuggire a Erode. Perché permise loro di andare in Egitto (che era sempre sotto i Romani) e lì stabilirsi finché non fosse morto Erode.

FUGA E RITORNO A CASA

Dunque: la fuga della Sacra Famiglia non era dovuta a volontà di emigrazione, ma alla prima persecuzione anticristiana.

Quindi, se proprio vogliamo ricordarli come profughi, bisognerebbe parlare degli odierni cristiani perseguitati più che degli attuali migranti, i quali, come si sa, sono mossi perlopiù da ragioni economiche e di lavoro. Eppure nessuno parla delle vicende della Sacra Famiglia rammentando i cristiani perseguitati di oggi come invece si dovrebbe.

In secondo luogo non era in corso una migrazione di massa verso una terra straniera. Né in Egitto c’erano campi profughi sovvenzionati e pagati dalle casse pubbliche dove si poteva stare a lungo.

In Egitto Giuseppe mantenne la famiglia svolgendo il proprio lavoro per alcuni mesi. Ma già l’anno successivo seppero della morte di Erode e così la famiglia di Gesù ritornò a casa, scegliendo stavolta Nazaret, il villaggio di Maria (dove probabilmente aveva abitato anche Giuseppe).

Lì vissero stabilmente e Gesù stesso esercitò il mestiere del padre fino all’inizio della sua vita pubblica. Dunque non si vede come si possa accostare la loro vicenda agli odierni flussi migratori di massa.

ULTIMO EQUIVOCO

C’è un ultimo equivoco da chiarire. Il prologo del Vangelo di san Giovanni dice: il mondo fu fatto per mezzo di lui,/ eppure il mondo non lo riconobbe./ Venne fra la sua gente/ ma i suoi non l’hanno accolto”.

Queste parole non si riferiscono a una mancata accoglienza di un inesistente “Gesù Migrante”, ma alla mancata accoglienza del suo annuncio. Infatti Gesù morì crocifisso. Si riferisce cioè alla fede cristiana.

Gesù non venne nel mondo per sponsorizzare la caotica politica migratoria oggi auspicata dai globalisti, ma venne per annunciare che Dio si è fatto uomo ed è presente in mezzo a noi per sconfiggere il male e la morte.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 10 dicembre 2018