C’è una piaga sociale che dovrebbe allarmare quanto l’esplosione della povertà fra gli italiani e in parte è amplificata proprio dalla massiccia caduta nella povertà di una grossa fascia del ceto medio.

Questa nuova piaga potrebbe diventare altrettanto drammatica e costosa socialmente: si tratta della solitudine.

Secondo un’indagine Istat circa 9 milioni di italiani temono di ritrovarsi soli in un eventuale momento di bisogno dovuto a malattia o altri gravi problemi.

La domanda è stata così formulata: “ha la certezza di poter contare su un certo numero di persone (senza quantificare quante) in caso di gravi problemi personali? Gli altri sono attenti a quanto le accade? In caso di necessità è facile per lei avere aiuto dai vicini di casa?”.

Ai nove milioni di italiani che ritengono di poter avere un supporto “debole”, cioè temono di trovarsi da soli, si aggiungono poi i ventotto milioni di connazionali che danno una risposta “intermedia”. Solo quattordici milioni affermano di poter contare su un sostegno “forte”.

Sono dati riportati dal sito “Quotidiano sanità” secondo cui “dai 35 anni in su la paura di restare di soli colpisce quasi un italiano su cinque”.

Ovviamente fra gli anziani e i più poveri c’è una maggiore incidenza della solitudine. E’ infatti una situazione dovuta all’invecchiamento della popolazione e al crollo demografico, due fenomeni che in Italia sono particolarmente gravi, ma anche alla contestuale e progressiva dissoluzione della famiglia che, in questi anni, nel nostro Paese, ha svolto una straordinaria funzione di supplenza dello “stato sociale” ormai sfasciato. Continua

Il centrodestra ha iniziato la campagna elettorale con una falsa partenza. Dovrebbe rivedere messaggio e strategia. Perché la narrazione oggi dominante sui media è allineata alla propaganda “governativa”: se non viene ribaltata e riportata ai dati veri, il messaggio del centrodestra risulterà incomprensibile.

Il centrodestra dovrebbe anzitutto far capire cosa è successo in questi anni, perché un Paese in cui i “poveri assoluti” passano da 1 milione e 911 mila del 2005 a 4 milioni e 742 mila del 2016 è un Paese in ginocchio come se avesse perso una guerra (grazie alle nostre élite).

TEORIE E FATTI

Faccio un esempio della narrazione dominante. L’altroieri sulla prima pagina del “Corriere della sera” è uscito un editoriale di Francesco Giavazzi e Alberto Alesina dove si leggeva: “L’evidenza empirica dimostra che (…) tagli alla spesa pubblica hanno l’effetto desiderato, cioè riducono il rapporto debito/Pil”.

Se due noti economisti possono scrivere una cosa simile in un articolo di fondo del “Corriere” senza che nessuno (tranne qualche addetto ai lavori) strabuzzi gli occhi, significa che l’opinione pubblica è stata convinta che davvero così stanno le cose e quindi che si debba continuare con la politica del massacro sociale impostaci dalla Germania e dall’euro

In realtà “l’evidenza empirica” dimostra l’esatto contrario di quanto scrivono Alesina e Giavazzi. Prendiamo il più rigoroso dei governi, quello del “salvatore d’Italia” Mario Monti, con cui fu ribaltato il governo di centrodestra scelto dagli italiani.

Tutti ricordano che l’esecutivo Monti ha imposto al Paese lacrime e sangue come nessun altro. Ebbene, ha abbattuto così il debito pubblico? No. Quando s’insediò il rapporto debito/Pil era al 119 per cento, quando se n’è andato era salito al 126,5 per cento. Siccome poi i governi hanno proseguito quella politica “tedesca” oggi siamo al 132 per cento e – se non ci fossero stati gli acquisti di titoli di Stato del Qe da parte della Bce dal marzo 2015 – il nostro debito sarebbe oggi al 157 per cento del pil (dati del Centro studi Economia reale). Continua

Ormai da tutte le parti arrivano sberle sugli italiani. Perfino all’incolpevole Befana hanno fatto discriminare i poveri italiani. E’ accaduto ieri a Napoli dove il vescovo bergogliano Crescenzio Sepe, aderendo a un’iniziativa del MCL, ha consegnato regali a 500 bambini immigrati delle varie etnie presenti a Napoli per – appunto – la Befana dei migranti.

E gli italiani? Esclusi. A Napoli non esistono famiglie italiane povere i cui fanciulli meritano quei regali? Strano, perché i dati Istat ci dicono il contrario: i nostri poveri assoluti in Italia, dal 2006 al 2016, sono passati da 2,3 milioni a 4,7 milioni. E i “poveri relativi” sono più di 8 milioni. Ma evidentemente loro – essendo italiani – non meritano attenzione.

Quello napoletano è solo l’ultimo episodio di una tendenza alla penalizzazione o addirittura alla discriminazione degli italiani, che – sotto il regime Pd (e nel clima del bergoglismo) – ha raggiunto livelli tragicomici.

DISCRIMINATI

E’ dei giorni scorsi il caso sollevato dalla Lega di Salvini e da Giorgia Meloni sul Museo egizio di Torino che ha fatto una promozione mirata agli arabi, “ovvero paghi un biglietto e ne prendi due se hai la carta d’identità araba. I cittadini” ha scritto la Meloni “lo hanno scoperto dalla pubblicità apparsa su autobus e tram, rigorosamente in lingua araba e senza traduzione e che ritrae una donna velata e un uomo dietro di lei che sorride. Ricordiamo che l’Egizio di Torino prende sovvenzioni pubbliche, è finanziato coi soldi degli italiani e che tra i cinque membri del CdA ci sono un esponente designato dal Comune di Torino, uno dalla Regione Piemonte e il presidente nominato direttamente dal ministero dei beni culturali”.

Non è il singolo episodio in sé a preoccupare, è la tendenza. C’è stato per esempio il bonus fino a 500 euro per ogni immigrato stabilito dal governo per incentivare i comuni ad accogliere stranieri (con buona pace degli italiani bisognosi, malati o anziani a cui vengono tagliati servizi) e c’è stato pure il premio – come sgravio fiscale – sempre del governo per le cooperative che assumono profughi a tempo indeterminato, cosa che ha fatto dire a Matteo Salvini: “Questo è vero razzismo, se ne fregano dei disoccupati italiani”. Continua

“Hegel osserva da qualche parte che tutti i grandi avvenimenti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”.

Questa è la celebre battuta di Karl Marx (suggeritagli da Engels) nel “Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte”. Ma questa stessa parabola si può applicare anche al comunismo: la prima volta realizzatosi come tragedia, la seconda – almeno in Italia (che fu la sede del più grosso Pc d’occidente) – come farsa.

E’ il film che è andato in scena da noi dal 1990 ad oggi quando – cambiati d’abito in fretta e furia per il crollo dei regimi dell’Est – i comunisti italiani si sono presentati – in un baleno – come gli “affidabilissimi” gestori della globalizzazione finanziaria clintoniana (che passava attraverso l’euro e l’Unione Europea): l’estrema e più dura incarnazione del turbocapitalismo, quello che Giulio Tremonti ha ribattezzato “mercatismo”. Continua

E’ stato l’anno della guerra dei sessi, almeno a dar retta ai media. Uomini contro donne e viceversa: un tema che sta già nei codici genetici dell’Occidente, per esempio nei poemi omerici.

La guerra di Troia comincia perché la bella Elena, moglie del re di Sparta, Menelao, viene rapita del principe troiano Paride. Da lì si scatena il finimondo. La poveretta è innocente – accade tutto per le trame degli dèi – ma si trova sballottata da un marito-padrone all’altro e poi pure colpevolizzata per i tanti morti della criminale imbecillità maschile.

Così Euripide le fa dire: “io, che pure tanto ho sofferto, sono maledetta,/ ritenuta da tutti traditrice di mio marito/ e rea d’aver acceso una guerra tremenda per la Grecia”.

Che a quel tempo la sorte della donna fosse quella della preda, del bottino di guerra, per bestiali appetiti maschili, è chiaro anche dalla storia iniziale dell’Iliade: l’orribile vicenda di stupro di cui è vittima Criseide, schiava sessuale del bestione Agamennone che maltratta suo padre Crise, andato a riprenderla e così fa infuriare Apollo di cui Crise era sacerdote.

Apollo per vendetta diffonde la peste tra i greci e costoro, per farla finire, costringono Agamennone a lasciar libera la fanciulla. Ma lui – dovendovi rinunciare – pretende di avere in cambio Briseide, la schiava sessuale di Achille che l’aveva catturata dopo averle ucciso il marito Minete. E così si scatenò “l’ira funesta” di Achille.

Insomma – come si può vedere – delle storiacce infami che in qualche modo immortalano la condizione tragica della donna e il connotato miserabile e violento del maschio.

L’ODISSEA CAMBIA TUTTO

Invece molto più complesse e contraddittorie sono le questioni fra uomini e donne nell’Odissea, dove il protagonista, Ulisse, è davvero la perfetta metafora dell’uomo occidentale e dell’uomo moderno e dove la donna non è più la vittima sacrificale, innocente e violata, dell’animalità maschile. Anzi, qui è la donna che sembra condurre i giochi e l’uomo deve trovare i modi per liberarsi dai suoi dolci e seducenti lacci.

Ulisse è “il personaggio che ha conosciuto maggior fortuna nell’immaginario e nella storia dell’Occidente. Tale successo” scrive Piero Boitani “è dovuto essenzialmente a due fattori: il carattere poliedrico di Ulisse e le straordinarie avventure di cui egli è protagonista”. Continua

Invece di celebrare, a Natale, la nascita del Salvatore, da Bruxelles – spodestando il Bambinello – hanno infilato nel presepe una vecchia conoscenza, un borbottante dottor Balanzone, e presentano lui come il salvatore dell’Europa e dell’Italia: Romano Prodi. Ieri sulla prima pagina della “Stampa” veniva lanciato con toni messianici: “ ‘Salviamo l’Europa’, il piano di Prodi”.

La seconda pagina riportava le sue ricette “salvifiche” e la terza pagina una surreale intervista allo stesso Prodi che davvero si immedesima nei panni del salvatore: “questo piano è una prova d’amore” Non fa autocritiche. Critica solo l’attuale establishment europeo per “gli orrendi errori fatti negli anni della crisi” che hanno trasformato l’euro “in fonte di nuove divisioni e disuguaglianze”.

Ma, per Prodi, l’euro in sé non si tocca, è il Bene assoluto. Certo, “Bruxelles porta grandi responsabilità”, ma, a sentire lui, “la rovina” dell’Europa non sono coloro che hanno voluto e gestito questa Unione Europea, con i risultati disastrosi che sappiamo: “i populisti sono la rovina”. Quali populisti, perché e come non lo spiega. Sventola una vaga e tenebrosa Spectre per spaventare il popolino, ma non fornisce ragioni.

Prodi, che è uno degli apprendisti stregoni che hanno voluto e guidato questa Unione e ci hanno portato nella situazione che sappiamo, tira fuori un’altra minaccia iettatoria: “senza un aggancio all’Europa noi scompariamo dalla faccia della terra” (nientemeno), come se dovessero sganciare sulla penisola cento bombe nucleari (la Gran Bretagna è uscita dalla Ue e non risulta che sia scomparsa dalla faccia della terra).

Poi ripete la sua solita solfa di sempre: “l’euro è il nostro futuro”. Una battuta propagandistica che vent’anni fa poteva ancora incantare, ma che ripetuta oggi – mentre l’euro è il devastante passato e il tragico presente – rasenta il teatro dell’assurdo.

RISPOSTA IMMEDIATA

Proprio in queste ore è uscita anche un’analisi dell’Ufficio studi della Cgia da cui emerge che in Italia la crescita economica, la media annua, negli ultimi 17 anni, è sostanzialmente zero (lo 0,15 per cento, in pratica zero). Un paese bloccato. La produzione industriale rispetto al 2000 è crollata di 19,1 punti percentuali. Peggio di tutti in Europa.

Il disastro è cominciato proprio da quando è entrata in circolazione la moneta unica, l’euro, e non si tratta affatto di un caso. Continua

Abbiamo tesori immensi, in Italia, ma non solo quelli noti, come il paesaggio, il patrimonio artistico, la buona cucina, il sole, il mare i nostri centri storici: è un capitale straordinario anche la nostra splendida lingua italiana.

Purtroppo è misconosciuta e maltrattata, a cominciare dalla scuola dove non s’insegna più il suo uso corretto ed elegante (del resto se la stessa classe dirigente sbaglia i congiuntivi e la sintassi…).

Per riscoprire questo tesoro di identità – da far assaporare agli studenti – è utile leggere il libro di Annalisa Andreoni, “Ama l’italiano. Segreti e meraviglie della lingua più bella” (Piemme).

Grazie allo stile brillante e appassionato dell’autrice lo si legge tutto d’un fiato con divertito piacere e non solo per i capitoli sulla lingua dell’amore, della beffa, della parodia, del canto, della musica, delle invettive e degli insulti. E’ addirittura una lettura emozionante.

Che poi la nostra sia considerata all’estero la lingua “più bella” – come recita il sottotitolo – è una vera scoperta. L’autrice ha collezionato i giudizi di alcune importanti personalità della cultura nel corso dei secoli da cui si resta davvero sorpresi e commossi.

“Sono veramente innamorato di questa bellissima lingua, la più bella del mondo… per me non c’è dubbio che gli angeli nel cielo parlano italiano” fa dire Thomas Mann a un suo personaggio. Continua

Ieri Massimo D’Alema ha bombardato il centrosinistra che ha governato finora: “io ho visto governanti che hanno passato anni a baciare la pantofola della Merkel e adesso sono passati alla pantofola di Macron”.

Poi, in questa intervista alla “Stampa”, ha rincarato la dose: si è accorto che i francesi – oggi protagonisti di un grande shopping in Italia – hanno con noi un atteggiamento “coloniale”.

Perciò critica “la fragilità della classe dirigente italiana” e riconosce che “gran parte dei principali asset nazionali stanno finendo nelle mani di capitale straniero, soprattutto francese, ma non solo”.

Mentre la “reciprocità” ha aggiunto “non c’è” perché “a noi non è consentito andare a fare shopping in casa d’altri”.

Dunque siamo sottomessi agli stranieri? Dice il lìder Massimo: “non è una novità che una parte della classe dirigente sia subalterna allo straniero” .

Parole pesanti e drammatiche. Ma lui, D’Alema, non è stato in questi anni all’opposizione. Certo, ha una questione personale con Renzi, ma non risulta che si sia schierato contro questi governi del centrosinistra. Continua

Ogni anno a Natale arrivano sermoncini moralistici che deprecano il famigerato “Natale consumistico” e lanciano anatemi contro i regali o rappresentano come colpevole spreco l’abbondanza dei pranzi natalizi.

Come sempre a navigare in questo banal grande è anzitutto papa Bergoglio il quale tuona contro la “festa del consumismo commerciale”, i “regali inutili” e gli “sprechi superflui”. Pensieri superficiali che non trovano riscontro nella grande letteratura spirituale sul Natale di Gesù.

Oltretutto – lungi dall’essere un male – la cosiddetta corsa ai consumi natalizi è, dal punto di vista sociale, una vera manna per l’economia del Paese ed ha una ricaduta nell’occupazione. In pratica consente a tante famiglie di lavoratori di festeggiare anch’essi con gioia il Natale (con questi chiari di luna…).

Ma poi siamo proprio sicuri che sia l’attuale consumismo ad aver fatto degenerare il Natale in una festa dei doni e nell’abbondanza della tavola?

Non sembra, perché il cosiddetto “consumismo” è sbarcato in Italia fra gli anni Sessanta e i Settanta e anche la nozione stessa di “consumismo” probabilmente si va poco lontano: all’America degli anni Cinquanta (penso, ad esempio, all’economista Victor Lebow).

Mentre il Natale è una festa che si celebra da duemila anni. E’ proprio il Natale cristiano in sé ad essere intimamente legato all’idea del dono e all’abbondanza della festa insieme, anche a tavola.

Memorabile è l’omelia natalizia di papa san Leone Magno (V secolo): “Non c´è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità”.

Quando – negli anni scorsi – mi sono permesso di “affacciare” questa idea qualcuno mi ha accusato, inorridito, di voler santificare il consumismo capitalistico.

Essendo io nato in una casa di minatori – dove abbondava la fede cattolica e non i soldi – credo di sapere per esperienza cosa è la povertà, ma anche cosa è la gioia cristiana del Natale.

Del resto lo dimostra una personalità al di sopra di ogni sospetto, uno che di certo non ha legami con il consumismo, il lusso e la ricchezza ed è passato alla storia per aver amato appassionatamente “Madonna Povertà”: san Francesco d’Assisi. Continua

Per la gioia di migliaia di turisti sognanti – o che cercano o vivono il grande amore della vita – è stato appena restaurato e riaperto al pubblico il mitico balcone della (cosiddetta) Casa di Giulietta, a Verona

Per la verità nessuna Giulietta Capuleti – la fanciulla resa immortale da William Shakespeare – si è mai affacciata da quel balcone. Si tratta di un reperto antico che, nel Novecento, è stato collocato sul muro di quell’edificio al posto di una brutta ringhiera. Mentre la casa, attorno agli anni Trenta, veniva fantasiosamente restaurata con altri ritocchi di sapore medievale.

TROVATA NOVECENTESCA

Lo spiega molto bene Francesca Fontanili nel saggio “Casa di Giulietta, metamorfosi di una dimora storica: reale e ideale si uniscono nel presente”. Nel sito internet “Casa di Giulietta-Comune di Verona” si possono vedere le foto di come era prima e di come è diventata dopo.

Vi si legge che “il balcone, proveniente da Castelvecchio – come si può vedere in una foto  che ritrae Vittorio Emanuele III all’inaugurazione del Museo di Castelvecchio nel 1926 – venne inserito per ricordare gli incontri fra Romeo e Giulietta”.

In sostanza è una formidabile trovata novecentesca. Prima di allora quell’edificio era tutt’altro che attraente. Continua