Umberto Eco, in polemica con Berlusconi, era il 2011, dichiarò che lui apparteneva a quella parte d’Italia che la sera va a letto tardi perché legge Kant.

Oggi fra i lettori appassionati di Kant, che ne fanno un proprio simbolo – a quanto pare – dobbiamo annoverare anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente russo Vladimir Putin (che lo ha indicato come suo filosofo di riferimento). Infatti Kant è al centro di una polemica fra i due scoppiata a margine del conflitto in Ucraina.

È un paradosso per un tipo così educato e precisino come il filosofo illuminista. Una ferrea routine, una grigia vita da studioso, trascorsa a Königsberg dove era nato – proprio trecento anni fa – e dove morì nel 1804.

E questo è il problema perché se avesse evitato di nascere Königsberg – a quel tempo capitale della Prussia orientale, ma dopo la sconfitta tedesca nella Seconda guerra mondiale, con il nome Kaliningrad, capitale dell’exclave russa, isolata fra Polonia e Lituania, e dunque uno dei punti più caldi e pericolosi del pianeta – non sarebbe diventato oggetto di contesta.

Il terzo anniversario della sua nascita infatti è stato celebrato dai russiall’Università federale del Baltico, a Kaliningrad, il 22 aprile, e il giorno dopo dai tedeschi all’Accademia delle Scienze di Berlino-Brandeburgo.

A Kaliningrad – dove Kant è il grande simbolo della città – il governatore locale Anton Alikhanov ha definito Kant un “trofeo russo” e ha prospettato una “interpretazione russa” di Kant dal momento che – secondo Alikhanov – il suo pensiero viene oggi usato dal “nemico” come scudo nella “poderosa guerra cognitiva” che ha al centro la Russia.

Il giorno dopo addirittura Scholz – alle celebrazioni tedesche – ha attaccato direttamente Putin intimandogli, in pratica, un “giù le mani da Kant”.

Così il filosofo che scrisse una famosa opera intitolata Per la pace perpetuasi trova al centro di una guerra in cui ci si contrappone a colpi di citazione.

In fin dei conti se Scholz può rivendicare Kant in quanto tedesco, Putin – che ha avuto una formazione marxista, in un Paese dal 1917 imbevuto di marxismo – può anch’egli sentirsi erede della filosofia tedesca che, nella sua parabola, comprende Kant e Marx.

Occorre un pensiero cristiano per una critica radicale (e un rifiuto) di entrambi. È, per esempio, quello del grande martire russo Pavel Florenskij – filosofo, matematico, teologo, sacerdote e scienziato – che il regime comunista deportò, nel 1933, nel lager delle isole Solovki e poi fucilò nel 1937.

Florenskij ha scritto molti saggi sul pensiero di Kant (di cui tradusse in russo la Critica della ragion pura). Nella Filosofia del culto (San Paolo) gli dedica diverse pagine, anche con espressioni insolitamente aspre: “Non esiste sistema più evasivo e ambiguo, più ‘ipocrita’, come dice l’apostolo Giacomo, più ‘maligno’, come dice il Salvatore, della filosofia di Kant (…). Per Kant l’unica realtà fatta significato era se stesso. E il porre se stesso come centro indiscusso dell’Universo (…). L’autoreferenzialità dello spirito kantiano è completamente soggettività”.

Florenskij definisce Kant “filosofo del protestantesimo” perché vede in esso l’origine della sua filosofia: “Celatamente tutto il suo pensiero parla di un’unica cosa: il culto, di come sia impossibile (…). La filosofia di Kant deve la propria esistenza alla guerra al culto condotta dai protestanti”.

Dunque Florenskij era parte di quell’Europa che legge Kant, ma lo rifiuta.

 

Antonio Socci

 

Da Libero”, 27 aprile 2024

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