E se – a realizzare il “miracolo economico” del Sud Italia – fosse proprio “l’uomo del Nord”, quel Matteo Salvini che – a quanto pare – è sempre più popolare nel Meridione? Se proprio la Lega spingesse il governo gialloverde verso il riscatto del Mezzogiorno?

Sarebbe un’impresa storica. Che cambierebbe per sempre il Paese. E brinderebbe anche il Nord per questo secondo motore di sviluppo che porterebbe benefici anche lassù.

Anzitutto però bisogna capire il cataclisma che – nell’indifferenza dei media – si è consumato in questi anni.

Marcello Minenna, docente di Finanza matematica alla Bocconi e alla London Graduate School, scrive: “L’austerità stringe nella sua morsa l’Italia e ancor più il suo Mezzogiorno. L’austerità aggrava la questione meridionale. I vincoli di bilancio europei allontanano sempre più il Sud dal Nord Italia”.

Il maggior disastro dell’austerità imposta dalla UE – oltre alla Grecia – è il Mezzogiorno d’Italia, salvato momentaneamente solo dalla tenuta faticosa del resto del Paese.

I dati sulla disoccupazione e sulla povertà al Sud sono agghiaccianti, come quelli sulla sua depressa vita economica (e perfino sul crollo demografico). Usciamo a pezzi da questo ventennio dell’euro come da una guerra perduta. Come si rinasce?

ERRORI DA EVITARE

Nel voto plebiscitario che il 4 marzo il Sud ha tributato al M5S c’è un grido di disperazione, ma anche Luigi Di Maio sa bene che non può essere il “reddito di cittadinanza” a “risolvere” una situazione così disastrata.

E’ sensato aiutare le fasce di popolazione più bisognose, ma il futuro non può essere quello. C’è il rischio assistenzialismo che potrebbe deprimere ancor di più il Meridione e portare alla spaccatura col resto d’Italia.

Di Maio – affrontando il caso dell’Ilva di Taranto – sta cercando di coniugare insieme sviluppo industriale e salvaguardia della salute e dell’ambiente.

Ma, al di là del caso specifico, bisogna avere visione e strategia, occorre elaborare un piano per tutto il Sud, che altrimenti affonderà nella disperazione portando nel baratro l’intera Italia.

Il rischio è non avere un disegno di sviluppo complessivo e addirittura bloccare anche i pochi investimenti esistenti (come il gasdotto dall’Azerbaijan alla Puglia).

Già è stato devastante – negli anni scorsi – perdere un treno che poteva essere importantissimo, quello degli investimenti cinesi nel porto di Taranto: si parla della più grande azienda di logistica del mondo, la Hutchinson Wamphoa di Hong Kong con un fatturato di circa 40 miliardi di dollari. Questo colosso dal 2009 puntava su Taranto per farne il terminale, via Suez, di tutti i commerci con la Cina.

Nel disinteresse dei vari nostri governi, nazionali e locali, i cinesi hanno infine mollato l’Italia e hanno investito in Grecia nel porto del Pireo che adesso fa concorrenza a noi. Continua

Fra le allegre e colorate vie di Siena, in festa per il Palio della Madonna di Provenzano, a una settimana dallo tsunami elettorale, si aggirano come naufraghi certi notabili e intellettuali della Sinistra cittadina che, interpellati dai giornali nazionali, si dicono “sotto choc” e sbigottiti per il crollo di un dominio rosso durato 70 anni.

Anche negli altri capoluoghi toscani il PD è diventato l’acronimo di Perde Dappertutto. E non può nemmeno dar la colpa ai fantomatici hacker russi per la sua sconfitta a Massa, Pisa e Siena (MPS), dopo aver perso le altre città toscane.

Gli esponenti della Sinistra si aggirano come fantasmi sulle pagine dei giornali senza capacitarsi. Trovano inspiegabile che gli elettori licenzino loro che sono “il meglio”, i civili, gli illuminati e scelgano invece i cattivi, i barbari.

Perciò, pur dilaniandosi nelle liti intestine, non fanno mai nessuna autocritica (anche il caso Monte dei Paschi – a sentir loro – è stato colpa “degli altri”).

Era – quello toscano – l’ultimo impero rosso in Europa. E’ crollato per la ventata fresca di un popolo che si è stufato e ha mandato a quel paese una Sinistra che ha dimenticato i bisogni e le sofferenze della gente comune e ha fatto disastri. Continua

Un lamento si alzava ieri dalla prima pagina del “Giornale”: “Salvini scippa persino il blu a Forza Italia”. Quel “persino” sottintendeva: oltre ai voti e alla leadership del centrodestra.

Ma il blu? Alludeva al raduno di Pontida di quest’anno che – con il passaggio da “Lega Nord” a Lega – segna pure il passaggio cromatico dal verde padano all’azzurro italiano.

Viene da sorridere per i malumori berlusconiani. Ci si chiede infatti se il colore blu appartenga al partito del Cavaliere. Anche se andiamo alla variante dell’azzurro – i forzisti si chiamano appunto “azzurri” – il copyright berlusconiano non regge.

Non solo perché “gli azzurri” sono – per definizione – i nostri atleti (e specialmente la nazionale italiana di calcio), ma anche perché il sostantivo “Azzurro” è inevitabilmente da decenni il titolo della canzone scritta da Paolo Conte per Adriano Celentano.

Gli psicologi fanno sapere che l’azzurro dà sensazioni di serenità, sicurezza, fiducia. Richiama infatti il cielo senza nubi.

E’ probabilmente per questo che il blu – o l’azzurro – era stato voluto da Berlusconi per simboleggiare Forza Italia e, prima di lui, era il colore scelto dalla Democrazia Cristiana come cornice cromatica del suo scudo crociato.

Potremmo dire che le sensazioni psicologiche dell’azzurro sono quelle tipiche di un partito che voglia presentarsi come moderato, affidabile e rassicurante, rappresentativo della pace sociale, cioè interclassista.

Ma è evidente che la scelta di Salvini è anche – e innanzitutto – un richiamo al nostro colore nazionale, perché l’azzurro nella storia italiana è un simbolo forte, che attraversa i secoli.

IL VESSILLO DI MARIA

Tutto comincia il 21 giugno 1366 quando Amedeo VI di Savoia salpa da Venezia diretto verso la Terra Santa, per la crociata voluta da papa Urbano V. Sulla sua nave ammiraglia fa sventolare il vessillo dei Savoia insieme a uno stendardo azzurro con una corona di stelle attorno all’immagine della Madonna. Che reca un’invocazione: “Maria Santissima, aiuto dei cristiani”.

Ecco perché lo storico Luigi Cibrario – a cui si deve tutta questa ricostruzione – afferma: Quel colore di cielo consacrato a Maria è, per quanto a me pare, l’origine del nostro color nazionale”. Continua

Il fenomeno politico più sorprendente della terza Repubblica (e in ascesa) è la Lega di Matteo Salvini. Alle elezioni del 4 marzo ha conquistato la leadership del centrodestra, poi è diventata il pilastro del nuovo governo (a cui dà la sua forte impronta), miete consensi anche al Centro e al Sud Italia ed è accreditata dai sondaggi nazionali fra il 25 e il 28 per cento.

Eppure il Giornale Collettivo del Pensiero Unico e gli intellettuali ne parlano solo per scagliare anatemi e sberleffi. Irrisione e demonizzazione. Nessuno che rifletta su quello che sta accadendo o che spieghi la clamorosa esplosione di consensi per Salvini, che di certo non è dovuta a qualche campagna mediatica perché – anzi – la sua Lega ha tutti contro: l’establishment, i media e la rete.

Tutti a coprirla di critiche e perfino di fango. Cosa che rende ancora più straordinario il consenso massiccio degli italiani per il leader lombardo. Continua

Caro Direttore (di “Libero”),

i giornali, nella quasi totalità, sono schierati contro il nascente governo e sparano a palle incatenate, da settimane, ancor prima della sua formazione. Dov’è finita l’obiettività? E’ il pregiudizio universale. Non si era mai visto nulla del genere in tutta la storia italiana (la stessa cosa è accaduta negli Stati Uniti contro Trump).

Appare chiaro che i giornali rappresentano le élite, un certo establishment (nazionale e internazionale) che non vuole saperne di piegarsi alla logica della democrazia e della sovranità popolare. Lorsignori vogliono continuare a comandare in barba agli interessi generali del Paese.

E’ normale? A me non sembra. La maggioranza degli italiani si riconosce nel nuovo esecutivo e se tutta la stampa è contro significa che c’è un grave scollamento fra giornali e paese reale. Continua

Il film che va in onda in questi giorni ha dell’incredibile. La Germania lamenta le intollerabili interferenze degli elettori italiani (tramite Lega e M5S) nella formazione del nuovo governo di Roma a cui – a quanto pare – provvedono da Berlino, come si fa con una colonia.

Infatti da Berlino fanno sapere che non tollerano ministri a loro sgraditi. E’ tutto alla luce del sole, basta leggere i giornali.

E’ scandalizzata la Frankfurter Allgemeine Zeitung” per l’insubordinazione degli italiani verso i tedeschi: “L’Italia vuole un nemico della Germania al governo”. Continua

E’ in corso la demonizzazione di Matteo Salvini. Tutto fa brodo per trasformarlo in una terribile minaccia per la civiltà, come un Gengis Khan redivivo. Perfino il giubbotto del leader leghista secondo “Repubblica” è inquietante e di destra.

Ieri poi Yascha Mounk, sulla prima pagina di “Repubblica”, per la possibile alleanza Lega-M5S ha pacatamente evocato il patto Hitler-Stalin. Un sobrio paragone storico. Manca solo che accostino Salvini a Jack lo Squartatore o a Vlad III principe di Valacchia (in arte Dracula).

Del resto i giornali demonizzano chiunque, in Europa o in America, osi vincere le libere elezioni democratiche senza dire “signorsì!” all’establishment. La cui “polizia del pensiero” da noi è l’intellighentsia salottiera in genere proveniente dalla militanza marxista e rivoluzionaria.

Dopo aver osannato in gioventù regimi stomachevoli come quelli comunisti (senza mai aver fatto autocritica), oggi fa gli esami di affidabilità democratica e di civiltà agli altri. Continua

Un paio di anni fa Matteo Salvini – a Pontida – elogiò la maglietta dove stava scritto “Il mio papa è Benedetto XVI”. Lo fece in implicita polemica con il migrazionismo di Bergoglio.

Salvini ricordò l’insegnamento di papa Ratzinger e Giovanni Paolo II secondo cui prima del diritto di emigrare, va riaffermato il diritto di non emigrare. E va difesa l’identità dei popoli.

Ma molto più vasta di questo particolare tema è la sovrapposizione fra le battaglie politiche della sua Lega e l’insegnamento di Benedetto XVI (e di Giovanni Paolo II).

Lo mostra clamorosamente l’ultimo libro appena uscito del papa emerito, “Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio” (Cantagalli).Va premesso che è un libro ricchissimo di riflessioni e spunti che immediatamente ci ricorda il fascino e la vastità del pensiero di Ratzinger. Continua