Nella conferenza stampa di domenica sull’emergenza Covid il presidente del Consiglio Conte è andato contro Pd e Renzi, bocciando solennemente il Mes come operazione inutile e pericolosa: ha detto che “non è una panacea, se prendiamo i fondi dovremmo aumentare le tasse e tagliare la spesa” e “c’è il rischio stigma” che metterebbe in allarme i mercati e in pericolo l’Italia.

Alberto Bagnai (Lega) gli ha riconosciuto “buon senso”. Claudio Velardi – che ha vissuto la Sinistra dal Pci, al Pd, fino a Renzi – ha twittato: “Sulla risposta data sul Mes qualcuno dovrebbe fare cadere il governo domani. Vediamo se hanno le palle di farlo, dopo aver ricevuto schiaffoni in piena faccia”. Continua

Caro Matteo (Renzi),

negli ultimi anni (come sai) non ho condiviso quasi nulla delle tue idee. Ciò non mi impedisce di riconoscere che sei (e resterai a lungo) uno dei più abili protagonisti della politica italiana. Giganteggi in un centrosinistra di mediocri.

Lo ha dimostrato la nascita (per me sciagurata) di questo esecutivo, che si deve solo alla tua scaltrezza tattica, anche se non ti viene riconosciuto da chi ne ha beneficiato.

Sia chiaro: vederti scendere in campo (seguito dal Pd) per scongiurare il voto degli italiani (perché avrebbe dato la vittoria al centrodestra), vederti capovolgere le tue posizioni sul M5S, passando di colpo da “mai con i 5 stelle” a “facciamo un governo con il M5S”, facendo leva sul terrore dei grillini di perdere la poltrona in parlamento, è stato uno spettacolo avvilente (per me e molti italiani).

Ma riconosco che – politicamente parlando – il tuo è stato un colpo da maestro (del resto vieni dalla città di Machiavelli). Lo scopo che perseguivi l’estate scorsa è stato raggiunto. Ma tu stesso, già in autunno, ti sei reso conto che questo esecutivo non era all’altezza dei problemi dell’Italia e subito ti hanno accusato di destabilizzarlo per le tue critiche. Continua

Ma esiste ancora un centrodestra unito? A parte le elezioni, nelle quali i tre partiti si presentano insieme, normalmente non c’è traccia di prese di posizione comuni o di “vertici” che diano la percezione dell’unità di intenti. Ognuno va avanti per suo conto. In ordine sparso e spesso conflittuale.

Del resto le stesse elezioni regionali, a causa delle candidature, sono ormai al centro di polemiche fra i tre partiti e fanno presagire spaccature. Per non dire degli incredibili smottamenti dentro Forza Italia dovuti ai cosiddetti “responsabili” che – a sentire le cronache – pare siano pronti ad arruolarsi per puntellare l’attuale governo devastante e fallimentare.

Questo eventuale, ennesimo affronto agli elettori farebbe tristemente riflettere su come vengono scelte le candidature. A questo proposito più che ridurre il numero dei parlamentari – secondo la balorda idea grillina – bisognerebbe alzare la qualità dei parlamentari stessi (da questo punto di vista tutti stanno messi male e il M5S peggio). Continua

Il vero braccio di ferro in corso – in questo ferragosto rovente per il Governo – è fra il “partito straniero” e il partito della sovranità degli italiani.

E’ lo scontro di sempre che continua finché non sarà ridata la parola agli italiani e saranno loro a risolverlo. Ma è appunto per impedire che decidano gli italiani che il “partito straniero” si è mosso in forze (ricordo che, secondo quanto ha scritto Roberto D’Alimonte sul “Sole 24 ore”, il 72 per cento degli italiani vorrebbe il voto anticipato).

Giulio Sapelli, uno dei più lucidi analisti, coltissimo e di vaste conoscenze internazionali, ha fornito in queste ore gli spunti più interessanti per capire cosa sta accadendo.

Sapelli sostiene che “la via maestra sono le urne”. Così sarebbe scongiurato un governo fra Pd e M5S, cioè fra chi ha perso le elezioni politiche  (il Pd, al minimo storico nel 2018) e chi ha perso le elezioni europee (il M5s, dimezzato nel 2019) i quali vogliono solo impedire di governare a chi rappresenta la grande maggioranza degli italiani. Continua

Con tutti i riflettori sulla Lega e il M5S, pochi hanno riflettuto sulle incredibili capriole del PD, che sono le più sorprendenti.

Dunque il 26 luglio Nicola Zingaretti, aprendo la Direzione nazionale del PD, dice: Noi non perseguiamo un’alleanza con i 5 Stelle, non è nelle intenzioni, né è mai stato un nostro obiettivo, non lavoriamo a una crisi parlamentare per fare un governo con loro”.

L’esito di quella direzione lo spiega in tv, il 10 agosto, la vicesegretaria del partito Paola De Micheli : “Non esistono le condizioni politicheper un altro governo, almeno con il Pd: è la linea che ladirezione nazionale ha approvato 15 giorni fa all’unanimità”.

Passano poche ore e il PD è prontissimo  a fare un governo col M5S, nella frenesia di riprendersi le poltrone da cui gli italiani lo avevano sfrattato col voto politico del 2018. Continua

Come si accende la Tv e ci si sintonizza su un talk show il menù è sempre uno e solo quello: Matteo Salvini. Da mesi. Non si parla d’altro.

In molti casi sembra di assistere a “processi in contumacia” dove commentatori e conduttori in gran parte sono schierati, come un tribunale, tutti contro uno, Salvini. Poi apri i giornali ed è, più o meno, la stessa solfa.Una fissazione generale.

Ci sono illustri colleghi – che un tempo abbiamo apprezzato come sagaci e brillanti analisti – i quali ormai non scrivono che di lui. Ne sono così ossessionati – e tanto è il loro livore – che viene da credere che ne siano innamorati pazzi (politicamente parlando), essendo questo tipo di odio una maschera dell’infatuazione, come insegna René Girard. Continua

C’era chi cominciava a pensare che PD significasse Partito Declinante. Ora c’è il sospetto che significhi Partito Defunto. E non solo per la sequela di sconfitte elettorali in cui ha perso sei milioni di voti dal 2008 al 2018.

Certo il tracollo nel consenso è stato finora pesante e non basta al povero segretario Zingaretti confondere il “voto reale” col “voto percepito” (come si fa con il caldo).

Perché se alle Europee lui ha esultato per aver preso il 22 per cento (con la desertificazione della sinistra che stava attorno al Pd), Renzi gli ha subito ricordato, perfidamente, che è un 22 per cento che va rapportato al basso numero di votanti: nella realtà ha preso 100 mila voti in meno delle politiche del 2018, quando il PD toccò il fondo.

E pure nei disastrosi ballottaggi del 9 giugno è parso surreale che – di fronte alla perdita secca di 41 Comuni (mentre il centrodestra ne conquistava 40 in più) – Zingaretti abbia twittato: “Belle vittorie e belle conferme”. Concludendo con un esilarante: “E siamo solo all’inizio”. Continua

A due settimane dal clamoroso risultato delle europee, si può fare il punto del dibattito nel mondo progressista: quella che ha votato e che ha ridotto il centrosinistra al minimo storico sarebbe un’Italia di trogloditi, di analfabeti funzionali, di ignoranti o addirittura di fascisti e razzisti.

Ci sono pure “sinceri democratici” che, come al solito, se la prendono col suffragio universale, che è come prendersela col termometro quando si ha la febbre alta.

Neanche la dirigenza del Pd è disposta a seguire i pochi, impietosi, analisti critici della loro parte, come Luca Ricolfi o Federico Rampini, in una dolorosa riflessione autocritica. Né vogliono ascoltare gli italiani, ammettendo i propri torti. Più perdono e più si convincono di essere i migliori: sono gli elettori a sbagliare, a essere ignoranti o stupidi o fascisti.

Un salotto refrattario all’autocritica sta a Bologna: la “Repubblica delle idee” allestita dal giornale di Scalfari, dove in questi giorni va in scena quella che si considera l’Italia migliore. Infatti il titolo proclama: “C’è un’altra Italia”. E’ l’Italia che si celebra come onesta, antifascista, solidale e illuminata. Sono i Buoni e gli Intelligenti. Continua

A più di un anno dalla batosta elettorale – con la velocità del bradipo – ieri il Pd ha eletto il nuovo segretario. E’ Nicola Zingaretti, colui che ha vinto le primarie.

Il primo motivo per cui è stato scelto lui è psicologico: la sua bonomia,la sua faccia da allegro salumiere. Com’è noto il Pd è da sempre profondamente antipatico. Il sociologo (di area) Luca Ricolfi ci aveva addirittura scritto un libro: “Perché siamo antipatici”.

E’ un problema atavico, dovuto alla spocchia della Sinistra, al suo senso di superiorità e a quel suo sottile disprezzo  per chi ha idee e valori diversi e per il popolo che pensa con la propria testa “populista”.

Sembrò che Renzi – da toscano – potesse traghettare il Pd verso l’affabilità. Era giovane e aperto, non più settario come la vecchia Sinistra. Ma poi Renzi stesso diventò, per il sentimento popolare, simpatico come un riccio di mare nelle mutande.

Ecco dunque Zingaretti che ora ha la missione di tornare a sintonizzarsi con “la gente” e ci prova con la bonomia sorridente e sempliciona del gestore del negozio di alimentari  sotto casa che – quando ti mancano gli spiccioli – ti rassicura: “non c’è problema, ci rifacciamo la prossima volta”.

Andrea Scanzi lo ha dipinto così: “Te lo immagini proprio dietro il banco, col cappellino del Vitiano e le unghie un po’ sporche di migliaccio. Saresti portato a chiedergli al massimo tre etti di finocchiona, va da sé tagliata a mano, e invece da lui esigono l’impossibile. Come fosse un Che Guevara sotto mentite spoglie, in grado financo di ridestare un partito catatonico”.

Infatti lo vedi arrancare in ragionamenti che – in tutta sincerità – rasentano la supercazzola. Tipo questo sentito ieri: “A questo punto dobbiamo muoverci e metterci in cammino, tutto quello che succede intorno a noi ce lo dice… dobbiamo muoverci, insieme: con spirito innovativo, con un partito inclusivo. Dobbiamo rimettere al centro la persona umana”

Un vecchio leader del Pci come Paolo Bufalini diceva: “C’è una cosa peggiore del perdere le elezioni ed è non sapere perché si sono perse”.

In effetti nella narrazione di Zingaretti non c’è traccia di riflessione autocritica sulle vere ragioni che hanno portato al tracollo del Pd. Che sono due: l’enorme e incontrollato afflusso migratorio degli ultimi anni e il dramma economico e sociale rappresentato – per l’Italia – dall’euro e dalle politiche dell’Unione europea

Zingaretti non ha rivendicato nemmeno quello che di positivo, sull’emigrazione, cominciò a fare Minniti (come resipiscenza tardiva e parziale del Pd). Sono tornati al “migrazionismo” tipico della Sinistra.

D’altronde Il nuovo segretario naviga in mezzo alle contraddizioni. Come primo gesto dopo la vittoria delle primarie ha fatto visita a Chiamparino, a Torino, in appoggio alla battaglia pro Tav. Subito dopo si è messo ad applaudire Greta, addirittura dedicandole la vittoria per mettere il cappello sulla manifestazione ecologista. Come stiano insieme la Tav e l’ecologismo non si sa. Sembra il “ma anche” veltroniano immortalato da Crozza.

Pure sulla “via della seta” – che nell’attuale governo viene caldeggiata soprattutto dal M5S – la contraddizione è stridente. Non solo perché la Cina è pur sempre un regime comunista ed è criticata dagli Stati Uniti, ma anche perché a iniziare il dialogo con Pechino furono altri.

Consideriamo il premier Gentiloni. Titolo del “Sole 24 ore” del 14 maggio 2017: “Gentiloni in Cina: ‘L’Italia può essere protagonista della nuova Via della seta’ ”.

A proposito: Gentiloni ieri è stato eletto presidente del PdAnna AscaniDeborah Serracchiani sono diventate vicepresidenti.  Nel Pd si passa con estrema facilità da Veltroni a Bersani, poi a Renzi e poi a Zingaretti. Sembra che tutto si rivoluzioni e invece non cambia mai niente e anche le persone sono sempre quelle. Cambiano solo di posto. 

Un po’ come la storiella del “facite ammuina” attribuita alla marina borbonica: All’ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora; chilli che stann’ a dritta vann’ a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann’ a dritta…”.

L’obiettivo di Zingaretti è minimo:guadagnare qualche punto percentuale alle europee rispetto alle politiche del 2018 per sopravvivere.  

Del resto nelle sue parole si sono perse le tracce della “vocazione maggioritaria”  del Pd di Veltroni, come pure è naufragata quell’iniziale tentazione attribuita al nuovo segretario che consisteva nel propiziare una crisi di governo per sostituire la Lega in una nuova maggioranza con il M5S. Sembra proprio che il Quirinale non voglia saperne.

Che futuro può avere un Pd che torna ad abbracciare il “rosso antico” ?Beppe Fioroni, che nel Pd non è stato un passante, prima delle primarie aveva messo in guardia dall’elezione di Zingaretti il quale – a suo parere – “mira semplicemente a restaurare la sinistra. Non posso nascondere l’allarme che provoca un’impostazione del tutto incoerente con la genesi ideale del Pd. Anche i cosiddetti moderati, una volta considerati interni alla vicenda di un partito insieme di sinistra e di centro, ora sono individuati come interlocutori esterni, con i quali al più dialogare a distanza. Dunque, siamo a un cambio radicale di motivazioni e prospettive”.

Fioroni concludeva: “Non vorrei che fosse sottovalutato il rischio di una possibile degenerazione, con il ritorno baldanzoso e inconcludente sotto la vecchia tenda della sinistra. Quella di una volta”. 

Se lo dice lui…

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Antonio Socci

Da “Libero”,  19 marzo 2019

La porta di Palazzo Chigi si aprì e non entrò nessuno: era Giuseppe Conte. Così – parafrasando Fortebraccio – si potrebbe sintetizzare la narrazione dei media sull’arrivo alla presidenza del Consiglio dell’attuale premier. 

È letteralmente balzato fuori dall’anonimato, da un giorno all’altro, come un coniglio dal cilindro del mago, senza aver fatto nulla che potesse caratterizzarlo in qualche modo (come docente universitario era poco conosciuto perfino a Firenze dove insegnava).

Essendo stato scelto proprio per una neutra mediazione fra M5S e Lega, sembrava un uomo senza passato, senza idee e senza identità. Ma non senza qualità. Perché – bisogna riconoscerlo – nessuno aveva capito il personaggioe quello che avrebbe fatto. Era stato del tutto sottovalutato.

Per alcuni mesi infatti è stato rappresentato (e pure spernacchiato) come il vaso di cocciofra i due vasi di ferro (Salvini e Di Maio), come l’incolore riempitivodell’esecutivo gialloverde. Come lo zeroche – nella previsione del deficit del DEF, quella approvata dalla UE – si è frapposto fra il 2 e il 4. Una specie di lubrificante, destinato solo a diminuire gli attriti.

CONTE ZIO

Era il perfetto “Conte Zio”dei “Promessi sposi”, come aveva acutamente intuito Marcello Veneziani. E infatti si adattava perfettamente alla sua attività di premier, la descrizione manzoniana di quel personaggio: “Sopire, troncare, troncare, sopire” perché “quest’urti, queste picche, principiano talvolta da una bagatella, e vanno avanti, vanno avanti…”.

A confronto delle dichiarazioni dirompenti dei due vicepremier,  il Conte Zio praticava – per riprendere il Manzoni – “un parlare ambiguo, un tacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d’occhi che esprimeva: non posso parlare”

Nella compagine governativa gialloverde, dava l’impressione di essere – ricorro ancora ai Promessi sposi – “come quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe, e dentro non c’è nulla; ma servono a mantenere il credito alla bottega”.

ZIO PEPPINO

Si era autodefinito “Avvocato del popolo”, ma questa bellicosa espressione di sapore rivoluzionario era immediatamente neutralizzata dalla sua antropologia forlaniana.

In effetti la sua bonomia democristiana, la mitezza, l’eleganza, la gentilezza dei modi sono parsi molto rassicuranti e lo hanno fatto crescere sempre più negli indici di popolarità. Quello che doveva essere l’Avvocato del popolo è diventato lo Zio degli italiani. Zio Peppino, l’affabile zio avvocato che fa sempre comodo in famiglia. 

Tuttavia, pian piano, si è creato uno spazio politico rilevantissimo perché il momento storico vede la contrapposizione fra il governo e le élite(l’establishment). 

Così la mediazioneda metodo è diventata Conte-nuto ed è emersa la cifra democristiana del premier. O meglio (ribadisco): forlaniana. Il coniglio uscito dal cilindro è diventato un “coniglio mannaro”.

Fu appunto Arnaldo Forlani, valente leader dc, a vedersi affibbiata per primo, da Gianfranco Piazzesi, questa definizione bacchelliana – tratta dal “Mulino del Po” – che allude all’astuzia politica e alle capacità che possono celarsi dentro un carattere mite.

LA SVOLTA

La trasformazione di Conte, da Peppiniello nostro a statista forlaniano, si è appalesata nella drammatica trattativacon la Commissione europea sul DEF che ha condotto in prima persona e che al tempo stesso gli ha permesso di conseguire un successo storico(dal momento che tutti prospettavano uno scontro dirompente fra Roma e Bruxelles) e di accreditarsi – presso la nomenklatura della Ue– come l’unico vero interlocutore del governo italiano.

L’operazione gli ha permesso anche di guadagnarsi definitivamente la fiducia del presidente Mattarella. Conte – che si è costruita una sua tela di rapporti personali a livello internazionale, in particolare con Trumpe la Merkel– si è fatto ricevere in udienza privata pure da Papa Francesco, il 15 dicembre, probabilmente esibendo non solo la sua fede cattolica (cosa che a Bergoglio interessa molto relativamente), ma soprattutto la sua provenienza giovanile da quella “Villa Nazareth”che è stata il punto d’incontro della potente corrente cattoprogressistavaticana e anche di “cattolici democratici” come Prodi, Scalfaro, Scoppola, Leopoldo Elia e lo stesso Mattarella (da lì viene anche l’attuale Segretario di Stato vaticano, Parolin).

L’ANTI SALVINI

Cosa si siano detti Conte e Bergoglio in quel colloquio non è dato sapere. Fatto sta che a pochi giorni di distanza, il presidente del Consiglio – sul caso dei 49 migranti, che tanto interessava al papa – ha preso la clamorosa posizione che sappiamo, pubblicamente contrapposta a Matteo Salvini“se non li faremo sbarcare li vado a prendere io con l’aereo”.  Poi si è addirittura intestato la “soluzione” di questo caso (la ripartizione dei migranti), ancora una volta in accordo con la UE. 

D’improvviso si è materializzato un Conte imprevisto, un vero “anti Salvini”, capace di batterlo sul terreno dove il vicepremier da sempre trionfa (quello dell’emigrazione). 

Era inevitabile che in questa veste Conte raccogliesse simpatie a Sinistra. Di sicuro ha catalizzato l’interesse degli ambienti catto-vaticaniin cerca di rappresentanza nella crociata migrazionista anti-Salvini.

A questo punto d’improvviso tutti si sono accorti che Conte da comparsa era diventato un protagonista. Con quali prospettive? Il suo passato sembrava incolore. Ma lo era davvero?

PRODIANO/RENZIANO

L’antica collaborazione col suo famoso maestro Guido Alpa non lo caratterizzava politicamente. Gli erano state attribuite, per il passato prossimo, vaghe simpatie renziane e un’amicizia con la Boschi, ma anche questo non sembrava una cosa significativa.

Poi lui stesso ha rivelato di aver “votato per l’Ulivo di Prodi e Pd fino al 2013”. E Renziha sarcasticamente fatto sapere: “Conte me lo ricordo, quando ci mandava i messaggini tutto contento e entusiasta delle riforme che facevamo, della Buona Scuola, del referendum…”.

In sostanza, quel Conte che sembrava senza identità, si rivela invece il classico moderato, catto-progressista, di area PD, che probabilmente non era proprio del tutto sconosciuto – anche al Quirinale – quando Mattarella gli ha dato l’incarico di formare il nuovo governo.

Certo, il fatto che per la guida del loro primo governo i “rivoluzionari” grilliniabbiano scelto un democristiano, di area Pd, strappa più di un sorriso. Ma la cosa non va letta con ironia. E’ un fatto emblematico che spiega molte cose.

Renzi, dopo aver ricordato quei precedenti di Conte, lo ha polemicamente pizzicato aggiungendo: “A suo tempo, nel 2015, aveva tutta un’altra posizionesullo sforzo riformatore del Governo Renzi. È legittimo cambiare idea, specie se ti offrono incarichi importanti. Io penso che le idee valgano più delle poltrone”, 

Ma siamo proprio sicuri che il Conte prodian-renziano abbia avuto un’improvvisa folgorazionegrillina sulla via (non di Damasco, ma) di Palazzo Chigi?

E se – diversamente da quanto pensa Renzi – Conte in realtà rappresentasse proprio una soluzione “istituzionale”per disinnescare e, alla fine, “normalizzazione” il M5S

Fabio Martini, sulla “Stampa”, ha scritto che Mattarella “probabilmente avrebbe gradito che il Pd entrasse a far parte di una maggioranza incardinata sui Cinque Stelle con Conte premier”.

A quel tempo fu proprio Renzi a mettersi di traverso. Ma se con i nuovi assetti del Pd, ridimensionato Renzi, per una crisi dell’attuale governo si ripresentasse questo scenario, non sarebbe proprio Conte il più adattoad assumere la guida di un nuovo esecutivo M5S-PD, benedetto da Mattarella, da Bergoglio e dalla UE

Non è detto che ciò accada. Ma le prospettive politiche che si aprono davanti a Conte sono anche altre. E lo potrebbero “consacrare” definitivamente come il vero anti-Salvini. Come il Prodi del XXI secolo. I conti in Italia non tornano mai, ma Conte sì, tornerà.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 13 gennaio 2019