Un prete infedele che trafuga documenti esplosivi dal Vaticano per consegnarli ad estranei, oltre le mura leonine. Essendo questo l’incipit del mio romanzo “I giorni della tempesta” mi sono sentito chiedere in questi giorni se ho preso spunto dalla cronaca. In realtà ho scritto la storia l’estate scorsa, quindi ben prima che – in autunno – iniziasse la valanga dei cosiddetti Vatileaks.

Non sono un indovino. L’idea mi era venuta semplicemente percependo certi scricchiolii nei sacri palazzi e un grave sfilacciamento generale della macchina di governo vaticana che faceva presagire esplosioni di guerre intestine.

Non potevo però immaginare che il crollo e l’inondazione sarebbero state di queste dimensioni. Infatti i documenti pubblicati nel libro di Gianluigi Nuzzi, “Sua Santità” sono un fatto inedito.

Se perfino le carte private di papa Benedetto XVI hanno potuto essere prelevate, fotocopiate, portate fuori dai sacri palazzi e passate per la pubblicazione a un giornalista, significa che nemmeno più la riservatezza del Santo Padre è protetta, che il Vaticano ormai sembra una macchina fuori controllo e che è scoppiata una guerra aperta senza precedenti, la quale finisce colpisce la Chiesa stessa.  

Ieri il Vaticano ha reagito con estrema durezza alla pubblicazione del libro di Nuzzi. Il comunicato della Sala Stampa parla addirittura di “atto criminoso”, afferma che stavolta sono stati “violati” i “diritti personali di riservatezza e di libertà di corrispondenza” del Papa e di altre persone. Infine preannuncia denunce.

Mentre in qualche precedente “fuga” di carte il Vaticano ostentò noncuranza, subito rilanciata da qualche vaticanista ingenuo (o rosicone per gli scoop altrui), in questo caso l’allarme scoppiato oltretevere emerge esplicitamente, in tutta la sua drammaticità.

Il comunicato ufficiale infatti parla di “atti di violazione della privacy e della dignità del Santo Padre – come persona e come suprema Autorità della Chiesa e dello Stato della Città del Vaticano” e minaccia durissime azioni legali.

Voglio dire subito che lo stato d’animo delle autorità vaticane è del tutto comprensibile. Hanno il diritto e il dovere di individuare e punire i dipendenti infedeli che – per qualche oscuro motivo – sottraggono documenti riservati e perpetrano questo gioco al massacro, sleale e devastante.

Invece temo che sia controproducente lo scagliarsi contro il giornalista che sinceramente, nelle sue pagine, non manifesta alcuna acrimonia laicista, personale o ideologica, e che si limita a fare uno scoop giornalistico.

Ritengo che per quella via la Chiesa rischi di attirare contro di sé una battaglia anticlericale sulla libertà di stampa e il diritto di cronaca che sarebbe disastrosa, perché farebbero passare la vittima – la Chiesa stessa – come un potere intollerante, oscurantista e liberticida.

Resto anche sorpreso dall’inedita durezza del comunicato della Sala Stampa vaticana perché non mi pare che vengano usati toni simili, denunciando gli “atti criminosi” e minacciando durissime azioni legali, “se necessario” con “la collaborazione internazionale”, quando vengono arrestati, detenuti e torturati dei cristiani, a causa della loro fede, in tanti paesi del mondo. Cosa purtroppo frequente e tragica.

Eppure la vita e la dignità di una madre cristiana come Asia Bibi (ma ce ne sono molti altri, sottoposti a mille vessazioni e violenze) sono importanti almeno quanto i documenti che imbarazzano la Curia.  

Ma nei casi di persecuzione dei cristiani sembra che la Segreteria di stato vaticana faccia di tutto per non irritare quei regimi tirannici.

Ribadito comunque che anche il Vaticano, come tutti, ha il diritto di avvalersi delle vie legali per tutelare i suoi interessi (specie nei casi di vilipendio o oltraggio nei confronti del Papa o quando si infanga la fede dei semplici), io che da cattolico cerco di impegnare tutta la mia vita di giornalista e intellettuale in difesa della Chiesa, ritengo che sarebbe desolante se essa demandasse alla magistratura la tutela della propria dignità.

Forse si dovrebbero rileggere le “apologie” scritte dai cristiani come san Giustino o Tertulliano, quando – nei primi secoli – si doveva difendere la comunità cristiana da calunnie infamanti e da persecutori feroci.

La Chiesa in fin dei conti ha sempre affidato a Dio la difesa della sua dignità. Anzitutto rimettendola nelle mani di Colui che si fece accusare, infamare, condannare e massacrare senza profferire parola, come un agnello portato al macello.

In secondo luogo con la santità della vita e la testimonianza di una bellezza e di un amore offerti a tutti. In questa direzione va tutto l’insegnamento di Benedetto XVI.

In caso contrario, se il Vaticano cioè si scatenasse in una risposta tutta e solo giudiziaria, peraltro senza smentire l’autenticità dei documenti, rischierebbe di fare un grosso autogol.

Perché parrebbe a tutti un modo per eludere il vero, enorme problema che la Santa Sede si trova a dover guardare in faccia: il fatto cioè che – nei meccanismi di governo della Chiesa – qualcosa di fondamentale si è completamente inceppato.

Niente è più al sicuro. Con conseguenze gravi anche a livello di rapporti con gli stati.

Se si considera che fino a pochi anni fa la diplomazia vaticana aveva fama di essere la migliore del mondo e la macchina di governo della Chiesa la più seria e affidabile, si può facilmente misurare la dimensione della crisi e del crollo di credibilità. Perché è accaduto?

Com’è possibile che in uffici così delicati e dov’è richiesta una fedeltà più che giuridica, un’adesione al fine soprannaturale della Chiesa, finiscano persone così pronte a tradire come mai era prima si era verificato?

E cosa scatena in loro un comportamento così grave? Infine quante persone hanno accesso a documenti così riservati? E’ così difficile controllare tali accessi? Perché fino ad ora nulla si è scoperto?

I fatti sembrano denotare una débacle della Segreteria di Stato vaticana che è il centro di governo della Santa Sede e della Chiesa.

Del resto i contenuti stessi del libro – al di là della legittimità della pubblicazione dei documenti – fanno riflettere proprio sul funzionamento della macchina vaticana.

Che talora, invece di aiutare il Santo Padre, rischia di costituire una zavorra pesantissima. Penalizzando per esempio un papato che sarebbe meraviglioso come quello di Benedetto XVI.

Del resto c’è qualcuno che sul ceto ecclesiastico nel suo insieme ha tuonato con parole ben più pesanti di quelle di Nuzzi (che, per la verità, fa il giornalista ed evita di dare giudizi).

E’ proprio Joseph Ratzinger che da papa, più volte, duramente ha deplorato “carrierismo” e smania clericale per il potere. Ma non solo: ha richiamato tutta la Chiesa alla conversione.

Alla vigilia della sua elezione al pontificato, nella via crucis del 25 marzo 2005, davanti a Giovanni Paolo II, in mondovisione, il cardinale Ratzinger pronunciò parole pesantissime, invitando a riflettere su “quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa”.

Invitò a meditare su

“quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote!

Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!

Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute!

Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore”.

Del resto Nuzzi nel suo libro cita una frase del cardinale Ratzinger addirittura del 1977, nella quale si metteva in guardia il mondo ecclesiastico. Poco propenso, già allora, a fare i mea culpa.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 20 maggio 2012

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