MERCATISMO

La polemica lanciata dal vicesegretario del Pd Giuseppe Provenzano contro il governo Draghi perché – fra gli altri – si avvale di due economisti “liberisti” è surreale per tanti motivi.

Ma ce n’è uno particolare. Il Pd – e ancor prima l’Ulivo – è stato totalmente immerso in quel “pensiero unico” che – come scrive Michael Sandel in “La tirannia del merito” (Feltrinelli) – considera i “meccanismi del mercato” come “i principali strumenti per realizzare il bene pubblico”.

Nota infatti Tomaso Montanari (Il Fatto quotidiano 16/6) che questa “fede nel mercato” – criticata da Sandel, docente di Teoria del governo ad Harvard – è “condivisa da tutti i leader e dai partiti del centrosinistra globale, da Clinton, a Blair al nostro Pd” citato esplicitamente dallo studioso. Qualcuno informi Provenzano.

 

ROSSO ANTICO

Non si può dire che le celebrazioni dei cento anni del Pci (fondato appunto nel 1921) siano state l’occasione di riflessioni vere su quello che è stato (e che è?) il mondo comunista in Italia.

Ha prevalso il sentimentalismo del “come eravamo” ed è proseguita l’impenetrabile reticenza che dal 1989 avvolge le ragioni delle diverse trasformazioni del Pci (Pds, Ds, Democratici…).

Così sono spariti i simboli e le scenografie comuniste, i riferimenti all’ideologia marxista, ai regimi del socialismo reale, alla storia e ai leader del partito, ma si è avuta una sostanziale continuità della classe dirigente.

C’è anche una continuità nella concezione della propria parte? Bisognerebbe interrogarsi, per esempio, su quanto ancora sopravvive la concezione del partito che Antonio Gramsci – nelle sue “Note sul Machiavelli” – aveva elaborato sul modello del Principe: “Il moderno Principe, sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno Principe stesso e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo. Il Principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume”.

Più in generale, nel discorso pubblico del nostro Paese, bisognerebbe interrogarsi su questa “completa laicizzazione” che, anche sui media, sembra aver dissolto la riflessione sulla verità oggettiva…

 

IMPARZIALI?

Giovanni Valentini sul Fatto quotidiano (26/6) ripropone il primo messaggio inviato dal presidente Carlo Azeglio Ciampi alle Camere che diceva: “Onorevoli parlamentari, la garanzia del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta”.

Parole sacrosante per il pluralismo (ma quanto ce n’è oggi veramente?). Qualche dubbio rimane sul concetto di “imparzialità nell’informazione”. Non si tratta di chiedersi se ce ne sia oggi, ma se e come sia possibile.

Si potrebbe riflettere su una pagina di un grande antifascista come Gaetano Salvemini (negli anni dell’esilio): “Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere” (in “Mussolini diplomatico”, Parigi 1932).

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 2 luglio 2021

 

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