Ave Maria. È la preghiera più popolare, insieme al Padre Nostro. È recitata ogni giorno da milioni di cristiani ai quattro angoli della terra ed è, specialmente nella forma del Rosario, la preghiera che papa Francesco ha più raccomandato in questi anni: in particolare per chiedere la pace durante la guerra in Siria, poi per la cessazione della pandemia, infine in questi giorni – specialmente con la Consacrazione di Russia e Ucraina, il 25 marzo scorso – per implorare la fine della guerra fra questi due paesi.

Il nome di questa preghiera, com’è noto, riprende le prime parole che l’angelo disse alla Vergine di Nazareth il giorno dell’Annunciazione.

Il Papa, in un piccolo libro intitolato proprio “Ave Maria” (Rizzoli), si sofferma a meditarle: “Il saluto a una donna. Dio saluta una donna, la saluta con una verità grande: ‘Io ti ho fatto piena del mio amore, piena di me, e così come sarai piena di me sarai piena del mio Figlio e poi di tutti i figli della Chiesa’. Ma la grazia non finisce lì: la bellezza della Madonna è una bellezza che dà frutto, una bellezza madre”.

Poi si sofferma sulle parole successive: “’Sei piena di grazia’, cioè di gratuità, di bellezza. La Madonna è la bella per eccellenza. La bellezza è una delle dimensioni umane che troppo spesso trascuriamo. Parliamo della verità, della bontà e lasciamo da parte la bellezza. Invece è importante quanto le altre. È importante trovare Dio nella bellezza”.

Infatti il popolo cristiano ama pregare Dio guardando il capolavoro della sua grazia: il volto della Madonna. Ma qual è l’origine dell’Ave Maria? Chi e quando ha composto questa preghiera? Si conosce qual è il più antico documento scritto che riporta il testo dell’Ave Maria, ovviamente in latino.

Si tratta del libretto di preghiere, detto “libreciolecto”, appartenuto al beato Antonio da Stroncone, frate francescano nato nel 1381 e morto ad Assisi il 7 o 8 febbraio 1461.

Infatti questo manoscritto è tuttora conservato nella chiesetta di San Damiano ad Assisi, proprio quella dove avvenne la conversione di San Francesco nel 1205.

Il giovane Francesco era in un momento particolare della sua vita. Un giorno vagava per la campagna, nella sua confusa ricerca del senso dell’esistenza. Entrò in questa chiesetta di campagna, s’inginocchiò davanti al crocifisso e pregò chiedendo a Dio di illuminare il suo cuore. Allora sentì dal crocifisso una voce che ripeté tre volte: “Francesco, va’, ripara la mia casa che è tutta in rovina”.

Fu la prima svolta nella vita del giovane che prese alla lettera quelle parole e pensò di dover ricostruire quella chiesina mezza in rovina. In realtà era una chiamata a “riparare” la Chiesa come edificio spirituale.

San Damiano divenne uno dei luoghi più cari a Francesco. Qui s’insediò Chiara, con altre ragazze di Assisi, per fondare il suo ordine claustrale. E qui Francesco, ormai malato, compose il Cantico delle creature. Dunque il manoscritto del beato Antonio si trova nel cuore del francescanesimo.

Il testo in latino dell’Ave Maria lì riportato dice così: Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui, Iesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobispeccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen”.

Ha studiato quel testo Giancarlo Rosati nel saggio “L’Ave Maria e i francescani”, contenuto nel volume “Il beato Antonio da Stroncone, III. Atti delle giornate di studio” (Stroncone, 4 maggio 1996 e 29 novembre 1997, Edizioni Porziuncola, Assisi 1999).

Rosati mette in rilievo un piccolo segreto di questa preghiera “che desta una certa curiosità”. Infatti “l’Ave Maria in latino, come è presente nel ‘libreciolecto’ del B. Antonio e come è stata recepita da Pio V nel Breviarum Romanum nel 1568, consta di 31 parole (da Ave a Amen) 15 + 1 + 15. È difficile” scrive Rosati “pensare ad una casualità che la parola centrale sia il nome Jesus. Chi ha codificato definitivamente questa preghiera ha voluto esprimere anche così la centralità del Figlio nel cuore della Madre, la centralità di Gesù nella devozione mariana del Popolo di Dio”.

C’è dunque un profondo significato teologico in questa costruzione letteraria. Spiega Rosati: “si potrebbe partire dalla devozione al nome di Gesù (JHS), diffusa nella predicazione di S. Bernardino, per rifare la storia dell’Ave Maria. In una predica S. Bernardino si esprime in un modo che farebbe pensare a quanto stiamo dicendo: ‘El nome di Gesù è in Maria. E però sarebbe bene che ne le figure di nostra Donna, vi fusse in mezzo al cuore el nome di Gesù, cioè nel petto’”.

Dunque pare che la forma definitiva di questa preghiera sia avvenuta in ambiente francescano attorno al 1400. Ma Rosati spiega che la sua elaborazione ha attraversato i secoli: hanno contribuito ad essa grandi teologi, papi e santi insieme al popolo cristiano.

La prima parte, che riporta il saluto dell’angelo (Lc 1,28) e le parole di Elisabetta (Lc 1,42) è quella più antica: “si fa risalire a S. Gregorio Magno e alla riforma liturgica del VI secolo”. Poi, nel tempo, specialmente la spiritualità francescana, molto diffusa fra la gente semplice, dette forma alla seconda parte che – alle parole dell’angelo e di Elisabetta – aggiunge la supplica del popolo cristiano che si trova nel duro cammino della vita.

Infatti papa Francesco, nella sua meditazione sull’Ave Maria, spiega: da sempre i cristiani si rivolgono a Lei come al loro rifugio, come colei che sempre indica il Signore e invita a fare affidamento incondizionato su di Lui per le persone più care, i problemi più delicati, le situazioni più aggrovigliate. Dove sembra non esserci più via d’uscita, Maria è la ‘speranza nostra’, perché – come diceva Dante (Par. XXXIII, 14-15) – se uno vuole una grazia e non si rivolge a Maria, è come un uccello che vuole volare senza le ali…”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 4 aprile 2022

 

Print Friendly, PDF & Email