“Direi che l’intesa è durata meno di un gatto in tangenziale…”, ha commentato ieri Paolo Roversi alla notizia dello “strappo” di Calenda col Pd (meno di un patto in tangenziale, ha corretto qualcuno).

Enrico Letta ha stancamente ribattuto: “Calenda vuole allearsi solo con Calenda”. Ma questo si sapeva anche prima: Calenda ha un tale Ego che gli sta stretta qualunque coalizione. Probabilmente sentirebbe angusta pure la presidenza dell’Onu.

A riportarlo sulla terra ora c’è la prosa delle regole perché il simbolo appartiene alla Bonino che a quanto pare resta con il Pd. Sarà dura per lui, a questo punto, doversi accordare con Renzi, essendovi costretto e addirittura in posizione di subalternità, per mettersi sotto il suo simbolo ed evitare così la raccolta delle firme. Entrambi, Calenda e Renzi, vorranno essere l’Ego della bilancia e la convivenza non sarà facile.

Ma Calenda al momento si gode l’attimo. L’appagamento che mostra nell’essere da giorni sulle prime pagine dei giornali gli fa credere di essere davvero in cima ai pensieri degli italiani (infatti sogna percentuali stellari). Gli si addice la famosa battuta di Bette Midler: “Ora basta parlare di me, parliamo un po’ di voi. Allora, cosa pensate di me?”
Se volessimo prendere sul serio questa telenovela si potrebbe cercare una spiegazione nel famoso libro di Christopher Lasch, “La cultura del narcisismo”, per esempio dove osserva che “l’uomo economico è stato sostituito dall’uomo psicologico dei giorni nostri – il prodotto finale dell’individualismo borghese. Il nuovo narcisista è perseguitato dall’ansia e non dalla colpa”, infatti

“i suoi desideri non conoscono limiti, egli non accumula in previsione del futuro, come faceva l’individualista acquisitivo dell’economia politica ottocentesca, ma esige una gratificazione immediata e vive in uno stato di inquietudine e di insoddisfazione perenne”.

Tuttavia nel nostro caso servono spiegazioni più terra terra. Ecco la più sensata: Letta dal 20 luglio sta cercando di incollare insieme la più improbabile delle coalizioni, la coalizione dell’odio, composta da persone e gruppi che si detestano fra loro e hanno idee contrapposte, ma hanno come unico denominatore comune l’odio verso il Centrodestra.

Calenda non poteva starci perché lui mette al primo posto l’amore, il suo grande amore: se stesso.

In seconda battuta appartiene culturalmente alla sinistra dell’odio, ma perché odiare solo “la destra” – come fa il Pd lettiano – quando si può odiare destra e sinistra? Ed infatti Calenda bombarda tutti.

Secondo Giorgia Meloni a questo punto Letta, “mollato sull’altare” da Calenda, proverà a ricucire con il M5S dopo il traumatico divorzio del 20 luglio. In effetti in una “coalizione dell’odio” i grillini potrebbero trovarsi a casa e darebbero il meglio (o il peggio) di sé.

Ma con quale faccia Letta e il Pd possono rimangiarsi i feroci anatemi che hanno lanciato per tre settimane contro Conte e il M5S. Ancora ieri il gruppo di +Europa, in un comunicato, assicurava che “Enrico Letta ha escluso qualsiasi tentazione di riapertura al M5S di Conte”.

Certo, non sarebbe la prima volta che il Pd proclama una cosa e ne fa un’altra. In fondo Letta continuerebbe con l’errore fatto finora: credere che le elezioni siano aritmetica, una somma di voti dei partiti, anche i più opposti fra di loro, accomunati solo dall’odio per il centrodestra.

Pagherebbe un prezzo di credibilità nei confronti dei suoi elettori, ma potrebbe sperare di recuperare il consenso aizzando la paura e l’odio per il Centrodestra al potere (che poi è fatto di partiti con cui il Pd ha governato fino a ieri, anzi con cui governa tuttora o – nel caso di Meloni – con cui ha amichevolmente dialogato).

Recuperando l’alleanza col M5S il Pd ci rimetterebbe la faccia, ma non solo. Pagherebbe anche un altro prezzo salato. Dovrebbe rinunciare all’unico argomento propagandistico che ha connotato finora la sua campagna elettorale: la fantomatica “Agenda Draghi”.

Inoltre il Pd non potrebbe più ripetere che occorre battere chi ha fatto cadere il governo Draghi e – alleandosi con Grillo – verrebbe meno pure l’insensato attacco del Pd (erede del Pci) che accusa il centrodestra di essere contro la Nato.

Cosa che peraltro fa sorridere già ora dal momento che nella lista lettiana c’è Sinistra italiana di Fratoianni che ha votato 55 volte contro la fiducia al governo Draghi e pure contro l’ammissione nella Nato di Svezia e Finlandia, al contrario del centrodestra (le decisioni sulla Nato e sull’Ucraina in Parlamento sono state votate non solo da Lega e Forza Italia, ma pure da Fratelli d’Italia che era all’opposizione).

Il M5S, ricucendo con il Pd, dovrebbe rinunciare al rientro di Di Battista e rinuncerebbe pure a ritrovare la sua natura originaria per rassegnarsi a diventare una costola del Pd come Leu. Sarebbe drammatico per Conte ritrovarsi a fianco di Luigi Di Maio che in questi giorni, contro il M5S, ha evocato perfino Putin. Mentre Grillo ha tuonato duramente contro “Giggino ‘a cartelletta”.

Dunque alla fine il Pd potrebbe trovarsi isolato e per Letta viene in mente la memorabile battuta di Gassman nell’“Audace colpo dei soliti ignoti”: “M’hanno rimasto solo…”.

Oltretutto si è pure usurata la sua narrazione su chi ha fatto cadere il governo Draghi visto che perfino Draghi (smentita o non smentita) ha fatto capire che è lui che voleva andarsene e per questo si è dimesso il 14 luglio facendo in modo di non ricomporre i cocci il mercoledì successivo in Senato.

Il Centrodestra al momento si gode lo spettacolo del suicidio politico degli avversari. In fondo deve solo evitare a sua volta autogol. Ma deve anche prepararsi a governare un autunno difficilissimo (quello da cui è scappato Draghi). Deve mostrare agli italiani serietà, competenza e senso di responsabilità.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 8 agosto 2022

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