Claudio Strinati, autore di “Caravaggio e Vermeer. L’ombra e la luce” (Einaudi) si interroga, nella pagina culturale di “Repubblica”, su quale sia il segreto di Jan Vermeer, il pittore olandese divenuto popolare grazie al romanzo di Tracy Chevalier, “La ragazza con l’orecchino di perla” (da cui è stato tratto un film di grande successo).

Due mostre – ad Amsterdam e a Delft fino al 4 giugno – espongono ora molte delle sue opere. È l’occasione per interrogarsi sul fascino dei suoi quadri enigmatici che colgono una quotidianità inaccessibile. E anche per interrogarsi, come Strinati, sul pittore: “Di lui complessivamente si sa poco”.

È la stessa constatazione che da tanto tempo si fa su un altro grande, vissuto pochi anni prima: William Shakespeare. Hanno qualcosa in comune?

LA LUCE E I GESUITI

Su “Avvenire” (10/2) Maurizio Cecchetti riflette sul “mistero Vermeer” con un articolo intitolato: “Vermeer cattolico e ritrovato”. In effetti il pittore – vissuto nell’Olanda protestante tra 1632 e 1675 e nato in una famiglia protestante – a vent’anni sposò una ragazza cattolica: “qui sta”osserva Cecchetti “una delle grandi questioni ancora oggi studiate, la sua adesione a una fede la cui Chiesa era confinata nelle città come in un ghetto, simile a quello ebraico, entrambi tollerati o poco di più, dai protestanti”.

La sua pittura risentì della scelta religiosa che aveva fatto? La magia degli interni di Vermeer sta nella luce e “il culto della luce deve certo qualcosa alle teologie gesuitiche legate agli studi sull’ottica” scrive Cecchetti, aggiungendo che proprio “l’influenza dell’ambiente gesuitico sulla sua poetica” è una questione decisiva per capire la sua cultura.

Ne parlano studi recenti. Non si tratta solo dei pochi suoi quadri a soggetto religioso come l’“Allegoria della fede cattolica”, forse commissionato proprio dai padri di S. Ignazio (Vermeer dà al suo primo figlio maschio il nome del santo), ma di tutte le raffinate opere dove la luce gioca un ruolo fondamentale. Ha un significato spirituale?

L’ENIGMA DEL BARDO

Le poche notizie che abbiamo sul maestro olandese e l’enigma della sua pittura, dicevamo, fanno pensare a Shakespeare. Anch’egli lavorò in un paese protestante, ma – diversamente da Vermeer – visse nel momento della durissima imposizione dell’anglicanesimo con l’obiettivo di sradicare la fede cattolica dall’Inghilterra.

Questa tragedia continua ad essere sconosciuta ai più, eppure furono centinaia i sacerdoti e i laici messi a morte per la loro fedeltà alla Chiesa cattolica, come ricorda il vescovo Robert Byrne nella prefazione al libro di Giuliana Vittoria Fantuz, “Inghilterra di sangue” (Ares).

Anche Elisabetta Sala ha dedicato due libri a questa dolorosa storia, “L’ira del re è morte (Enrico VIII e lo scisma che divise il mondo)” e “Elisabetta (la Sanguinaria)”, entrambi da Ares.

Ma soprattutto la Sala ha ricostruito come Shakespeare visse quegli anni terribili e i suoi rapporti, anche familiari, con la dissidenza cattolica. Il romanzo storico della Sala, “L’esecuzione della giustizia” (D’Ettoris Editore) è di straordinaria bellezza e spiega tutto.

Ma per capire il nesso con le opere del drammaturgo la Sala ha pubblicato, “L’enigma di Shakespeare” (Ares), in cui, richiamandosi a recenti studi, fa emergere in modo molto chiaro il legame del Bardo di Avon con il cattolicesimo e con parenti e amici che morirono martiri per la fede.

Sembra che sia proprio questa storia a illuminare i tanti enigmi della vita del drammaturgo e delle sue opere.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 11 febbraio 2023

 

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