E’ sempre più chiaro che, per i popoli di oriente e di occidente, papa Bergoglio è ormai un grosso problema

Il “caso Venezuela”lo ha reso evidente, come pure l’“alleanza” vaticana col regime comunista cinesee, ancora prima, l’esplosione dell’emergenza emigrazioneche ha destabilizzatol’Italia e l’Europa. 

Tutti e tre questi “temi” vedonoconfliggere frontalmente Bergoglio con i popoli interessati e con la politica della Casa Bianca. Non a caso Trump fu attaccato dal papa argentino già durante la campagna presidenziale.

Il pontificato di Bergoglio è infatti un prodotto dell’epoca Obama/Clinton, di cui porta avanti l’agenda, senza più avere però quella sponda politica (e pure Macron ormai è un’anatra zoppa).

La prima destabilizzazione bergogliana ovviamente si abbatté sulla Chiesa  che aveva rappresentato, fino a Benedetto XVI, l’istituzione più autorevole, più rappresentativa e più antica del mondo. E che ora, con Bergoglio, è precipitata nella crisi più grave della sua storia.

Bergoglio ha radicalmente stravoltoi connotati del papato: non più un messaggio spirituale, ma mondano, niente più soprannaturale, ma sempre politica. All’annuncio di Cristo unico salvatore, si è sostituita un’imitazione dell’Onu politically correct, con un forte timbro di sinistra radicale

E’ la vecchia teologia della liberazione. Non a caso proprio in queste ore è stato “pensionato” il cardinale Cipriani, arcivescovo di Lima e capo della chiesa peruviana, sostituito da don Carlos Castillo, discepolo di Gustavo Gutiérrez, il fondatore della teologia della liberazione.

Il pontefice argentino è amichevole o dialogante con i regimi illiberali (islamici o socialisteggianti o comunisti), mentre è duro con i paesi liberi occidentali (in particolare con il presidente Trump e con Matteo Salvini)

In America latina infatti Bergoglio ha rapporti amichevoli con Cuba, con il Venezuela di Maduroe con il compagno presidente boliviano Evo Morales(quello che gli regalò la scultura del crocifisso con falce e martello).

Nei giorni scorsi c’è stata una clamorosa iniziativa di venti ex capi di Stato dell’America Latinache hanno contestatoa Bergoglio, con una lettera pubblica, il suo solenne messaggio di Natale in cui invitava alla concordia il popolo del Venezuela e anche quello del Nicaragua.

Gli ex capi di Stato hanno obiettato: “In questo modo non si mette affatto l’accento sul fatto che il primo Paese è vittima dell’oppressione di una narco-dittatura militarizzata, che non ha remore a violare sistematicamente i diritti alla vita, alla libertà e all’integrità personale e… lo sottopone a condizioni di carestia diffusa e mancanza di medicine. Il secondo Paese, a metà del 2018, è stato vittima di un’ondata di repressione che ha seminato quasi 300 morti e circa 2.500 feriti”

Le parole di Bergoglio, in quei termini, aggiungono i firmatari, “possono essere interpretate anche in modo negativo per la maggioranza dei venezuelani e nicaraguensi”, perché rischiano di essere sentite come “una richiesta ai popoli oppressi, che sono vittime ad accordarsi con i rispettivi aguzzini”, specialmente nel caso del Venezuela, dove “c’è un governo che ha causato 3 milioni di rifugiati”.  

Ma per i profughi provocati da Maduro, Bergoglio non ha affatto l’interesse ossessivo che invece manifesta sempre per i migranti che vogliono venire in Italia

Anzi, ha fatto clamore il fatto che il Vaticanoabbia voluto mandare un proprio rappresentantealla recente cerimonia di insediamento di Maduroche è stata disertata dalla maggior parte dei paesi europei e sudamericani.

Intanto il popolo venezuelano, in miseria, protesta, i vescovi denunciano i soprusi del regime di Maduro e, proprio in questi giorni, in Venezuela è esplosa la crisi istituzionale, perché il presidente dell’assemblea nazionale Guaidò(con l’appoggio del mondo libero) si è fatto avanti per liberare il paese dal successore di Chavez. Così adesso Bergoglio si trova in palese imbarazzoe, pur trovandosi a due passi (a Panama), non ha finora pronunciato parola.

Va detto che anche la clamorosa intervista papale sulla Cina, che aprì la strada all’accordo col regime comunista, stupì, scriveva Sandro Magisterper le parole con cui il papa assolveva in blocco il passato e il presente della Cina, esortandola ad ‘accettare il proprio cammino per quel che è stato’, come ‘acqua che scorre’ e tutto purifica, anche quei milioni di vittime che il papa s’è guardato dal nominare, neppure velatamente”.

Così fu siglato l’accordo con cui il Vaticano ha sostanzialmente consegnato la Chiesa cinese al regime.

La stessa indifferenza verso i cristiani perseguitatimanifestata dal Segretario di Stato di Bergoglio, card. Parolin, quando, di recente, ha dichiarato che non c’è nessuna attività diplomatica del Vaticano a favore di Asia Bibie della sua famiglia e che la tragedia di quella povera donna cristiana “è una questione interna al Pakistan”.

All’Italia invece Bergoglio ritiene di dover prescrivere perfino la politica migratoria, che sarebbe prerogativa dello Stato laico.

Bergoglio ha giocato un ruolo importantedurante la formidabile ondata migratoriadegli ultimi sei anni. Non solo per i continui, quotidiani interventiad abbattere le frontiere. 

Si è saputo di recente che fece pure un intervento direttosull’allora premier Enrico Letta, dopo la tragedia di Lampedusa. Telefonata dell’ottobre 2013dopo la quale fu varata l’operazione “Mare Nostrum”, che di fatto spalancò le porte agli arrivi. 

Dunque un pontificato pernicioso non solo per la Chiesa, ma per i popoli

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Antonio Socci

(nella foto papa Bergoglio con Nicolas Maduro)

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www.antoniosocci.com

Poniamo che uno scienziato decida di scrivere i suoi (importanti e innovativi) saggi scientifici in italianoe non più in inglese, che pur conosce bene. 

E poniamo che faccia questo perché vuole che lo possano leggere e capire anzitutto non gli addetti ai lavori, nel mondo, ma tutti, nella sua terra, anche quei figli del popolo che – dovendo andare a lavorare senza poter studiare – non conoscono l’inglese.

Un caso simile – se si verificasse oggi – probabilmente convoglierebbe sull’interessato l’accusa di provincialismo, di sovranismo e di populismo. Accuse che di questi tempi non si negano a nessuno: basta solo un vago accento che contraddica il pensiero unico globalista e la moda esterofila e cosmopolita.

In effetti è accaduto qualcosa del genere nel passato, nel Seicento. Ma il personaggio in questione è oggi universalmente (e giustamente) ritenuto un grande, un gigante del pensieroche molto ha dato all’umanità. 

Perché si tratta addirittura del fondatore della scienza moderna, colui che tutti considerano un esempio di genialità, di apertura mentale e di opposizione al conformismo pseudoscientifico e pseudofilosofico: Galileo Galilei.

Naturalmente la lingua internazionale del suo tempo (anche per la scienza) non era l’inglese, ma il latinoche tuttavia svolgeva la stessa funzione dell’inglese odierno.

Ebbene Annalisa Andreoni, nel suo splendido libro “Ama l’italiano (segreti e meraviglie della lingua più bella)”, nota che “Galileo Galilei non è solo l’inventore del moderno metodo scientifico che tutti conosciamo, ma è stato anche il primo grande scienziato ad abbandonare il latino e a scegliere l’italiano come lingua con cui comunicare al mondo le proprie scoperte”.  

Certo, scrisse in latino le opere giovanili e anche il “Sidereus Nuncius” del 1610, che però era intenzionato a tradurre in “toscano”, come già aveva scritto nella sua lingua corrente “La bilancetta” nel 1586.

Tuttavia “dopo il rientro a Firenze” sottolinea la Andreoni “Galileo scelse definitivamente la lingua materna per scrivere di scienza: saranno in italiano Il saggiatore (1623), il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) e l’ultima grande opera, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla mecanica e i movimenti locali (1638)”.

Fu una scelta clamorosa e del tutto analoga a quella compiuta da un altro grande toscano, Dante Alighieri, quando decise di scrivere il suo poema sacro in volgare toscano anziché in latino che era la lingua della teologia (questa sua scelta infatti fece scalpore e destò scandalo).

Naturalmente Galilei provvide a far fare una traduzione in latino delle sue opere in italiano, per gli scienziati stranieri che non conoscevano la nostra lingua, ma – osserva l’Andreoni – “quella dell’italiano fu una scelta consapevole, basata sulla convinzione che la nostra lingua possedesse ormai tutte le potenzialità espressive necessarie al ragionamento scientifico”. 

Inoltre per i destinatari: “È come se dovendo scegliere tra l’essere compreso dagli scienziati suoi pari in Europa o dalle persone ‘non letterate’ che gli stavano intorno” osserva l’Andreoni “Galileo avesse scelto queste ultime”

Lo provano tre sue celebri lettere a Mark Welser, politico e intellettuale tedesco, dove Galileo discute delle macchie solari, ma lo fa in italiano. E spiega che ha scelto così “perché ho bisogno che ogni persona la possi leggere, e per questo medesimo rispetto ho scritto nel medesimo idioma questo ultimo mio trattatello [il Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono]”.

Lo scienziato toscano nota infatti che ci sono molti giovani che vengono fatti studiare e fanno i medici i filosofi e altre professioni analoghe pur essendo “inettissimi”, mentre altri che – sebbene intelligenti -non possono studiare e imparare il latino perché devono guadagnarsi il pane. 

Dunque Galileo vuole farsi leggere pure da questi che hanno gli occhi per vedere le opere della natura e l’intelligenza per capire come i filosofi.

Populista e anti élite dunque. L’Italia del Seicento non era unita politicamente, ma lo era culturalmente e spiritualmente: la linguaè il volto più chiaro di un’identità, infatti è stata la nostra letteratura ad adottare il “toscano” di Dante e Petrarca come lingua nazionale, la quale in seguito ha completato l’unificazione politica (sebbene fatta malamente).

Galileo non si limitò a “lanciare” l’italiano come lingua della scienza, ma coltivò ad alti livelli la nostra lingua a la nostra letteratura.

L’Andreoni ricorda che egli “tenne due lezioni all’Accademia Fiorentina sull’architettura dell’Inferno di Dante, postillò l’Orlando furioso… Divenne inoltre accademico della Crusca e collaborò alla stesura di alcune voci del Vocabolario, sia per la prima edizione del 1612 sia per la seconda del 1623”. 

La stessa qualità del suo “italiano scientifico” gli guadagnerà, duecento anni dopo, l’ammirazione di un Giacomo Leopardi. Ritrovare la nostra identitàsignifica anche riscoprire questi ingegni che tutto il mondo ci invidia.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 21 gennaio 2019

Nei mesi scorsi imperversava (anche fuori d’Italia) “Forza Spread”, il partito trasversale di chi faceva il tifo per lo spread, contro l’Italia, pur di abbattere questo esecutivo alla stessa maniera del 2011. 

Poi è diventato “Forza Moscovici”: facevano il tifo per la Commissione Europea, perché punisse duramente l’Italia. C’erano anche degli italiani, sempre con l’illusione che la chiamata degli stranieri– eterna tragedia italica – servisse ad abbattere i loro nemici interni, cioè (ancora) l’attuale governo.

Tutte e due queste speranze sono andate deluse. Così quelle truppe trasversali si sono ritrovate ora sotto l’insegna “Forza recessione”: si riconoscono dalle acclamazioni eccitate di fronte alla stima di Bankitaliasecondo cui il Paese va verso la recessione.

Sperano che il ciclo economico sfavorevole penalizzi Lega e M5S alle prossime elezioni europee e, magari, mandi in crisiil governo già prima o almeno lo costringa a una nuova manovra correttivadi tagli e tasse che faccia crollare il consenso per l’esecutivo.

Questo “partito”, che definirei anti italiano, è una parte (non piccola) del problema. L’altra parte del dilemma è costituito dalle forze di governo, perché – varato il Def – si tratta ora di misurarsi appunto con la minaccia della recessionee con la “questione europea”.

Ancora una volta, per le rigidità ideologiche del M5Sche rischia di paralizzare gli investimenti pubblici, vera molla della crescita, è soprattutto su Matteo Salvini che incombe il compito di trovare la via d’uscita. 

O almeno a lui guarda quella parte maggioritaria della nostra gente che fa il tifo per l’Italia, a cominciare dai ceti produttivi del Nord.

Oltreché essere una via obbligata questa è anche una grande “chance” per il leader leghista che – essendo un pragmatico –  affronta i problemi e anche le scelte strategiche quando concretamente si presentano. 

Dunque il compito che lo aspetta, da adesso alle elezioni europee – mentre presidia le sue tradizionali trincee: immigrazione e decreto sicurezza– potrebbe essere riassunto in tre punti.

PrimoSbloccare gli investimenti pubblici: è una misura necessaria per cercare di scongiurare il rischio recessione, per rimettere in moto l’economia e l’occupazione e per evitare che l’Italia (con la sua industria) rimanga ai margini dei nuovi flussi del commercio mondialeo paghi un prezzo salatissimo. 

Fra l’altro non ci sono solo le grandi operecome TavTap: l’Associazione nazionale dei costruttori edilisostiene che tra ponti, acquedotti, dighe, strade, scuole e altre infrastrutture sono circa 270 i cantieri fermiper le più diverse motivazioni e hanno un valore complessivo di 21 miliardi di euro

Inoltre, secondo gli ultimi dati dell’Anagrafe ufficiale delle opere incompiutedel ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, risulta che sono circa 670 le opere– appunto – incompiute che hanno un valore di circa 4 miliardi.

Secondo il presidente di ConfindustriaVincenzo Boccia, la riapertura di tutti i cantieri (al di sopra dei cento milioni) pronti a partire darebbe lavoro a 400 mila persone “con una ricaduta sull’economia di 86 miliardi”. Si può facilmente capire tutto quello che ciò significa in una fase critica come questa.

Da parte di Salvini questa battaglia è anche il modo migliore per farsi carico delle istanze del mondo produttivo. Certo, non sarà facile far capire al M5S la necessità di combattere preventivamente la recessione con la riapertura dei cantieri, ma nessuno può illudersi che sia il “reddito di cittadinanza” a far crescere il Pile la prospettiva di una recessione dovrebbe far ragionare i Grillini, perché sarebbe disastrosa per il Paese ed anche per i partiti di governo.

Fra l’altro sarebbe sensato anche di rivedere l’ecotassa sulle autoche rischia di far annullare gli investimenti e il piano industriale di Fiat Chryslerin Italia secondo le dichiarazioni del Ceo di Fca, Mike Manley.

Secondo. L’Italia – nella crisi in cui si dibatte la UE, per le politiche economiche suicidefin qui praticate e poi per la Brexit, per il progressivo affondamento di Macrone per il tramonto della Merkel– dovrebbe cercare un rapporto forte con gli Stati Uniti di Donald Trump

Come Giulio Sapelliha spiegato ieri, in un articolo sul “Sussidiario”, l’Italia è tornata ad avere una sua importanza geopolitica per la presidenza Trump e questo dovrebbe facilitare un forte legamecon quel paese, nostro tradizionale alleato, dove troviamo l’unica economia occidentale forte e in crescita.

Gli Stati Uniti sono il grande interlocutore dell’Italia: è proprio questa perseveranza transatlantica” scrive Sapelli “la migliore risposta all’avvento quale che sia della Brexit. Di questo sono pochissimi in Italia ad avere contezza, a cominciare dagli imprenditori. Comprendere tutto ciò è decisivo, perché solo il legame con gli Usa ci può salvare dal prossimo tsunami mondiale. Si addensano infatti le nubi e si alzano le maree di uno tsunami molto più grande di quello del 2008. La causa di ciò è nella tendenza alla deflazione europea che minaccia tutta l’economia mondiale e segnala la potenza distruttiva del nazionalismo economico tedesco”.

Terzo. La questione europea. La recente autocriticadel presidente della Commissione europea Junckersull’eccesso di “austerità avventata” della UE, soprattutto quella che è stata imposta alla Grecia, è solo un patetico tentativo delle élite di smarcarsi dai propri errori. Lacrime di coccodrillo. La stessa cosa si può dire per la Merkel e per Macron. 

Oggi ci sono tutte le condizioni per “lanciare” – in vista delle elezioni – una “Europa dei popoli” che archivi per sempre l’Europa delle élite attraverso una seria proposta di riscrittura dei Trattati di Maastrichtche restituisca ai popoli, quindi ai parlamenti e agli Stati, quella sovranitàche è codificata nelle loro Costituzioni (a cominciare dalla nostra, per quanto riguarda l’Italia). Niente più e niente di meno che la Costituzione

E’ questo anche l’unico modo per salvare l’Europa, che è una cosa troppo importante e preziosa per essere lasciata ai fallimentari “europeisti” fino ad oggi dominanti.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 20 gennaio 2019

La porta di Palazzo Chigi si aprì e non entrò nessuno: era Giuseppe Conte. Così – parafrasando Fortebraccio – si potrebbe sintetizzare la narrazione dei media sull’arrivo alla presidenza del Consiglio dell’attuale premier. 

È letteralmente balzato fuori dall’anonimato, da un giorno all’altro, come un coniglio dal cilindro del mago, senza aver fatto nulla che potesse caratterizzarlo in qualche modo (come docente universitario era poco conosciuto perfino a Firenze dove insegnava).

Essendo stato scelto proprio per una neutra mediazione fra M5S e Lega, sembrava un uomo senza passato, senza idee e senza identità. Ma non senza qualità. Perché – bisogna riconoscerlo – nessuno aveva capito il personaggioe quello che avrebbe fatto. Era stato del tutto sottovalutato.

Per alcuni mesi infatti è stato rappresentato (e pure spernacchiato) come il vaso di cocciofra i due vasi di ferro (Salvini e Di Maio), come l’incolore riempitivodell’esecutivo gialloverde. Come lo zeroche – nella previsione del deficit del DEF, quella approvata dalla UE – si è frapposto fra il 2 e il 4. Una specie di lubrificante, destinato solo a diminuire gli attriti.

CONTE ZIO

Era il perfetto “Conte Zio”dei “Promessi sposi”, come aveva acutamente intuito Marcello Veneziani. E infatti si adattava perfettamente alla sua attività di premier, la descrizione manzoniana di quel personaggio: “Sopire, troncare, troncare, sopire” perché “quest’urti, queste picche, principiano talvolta da una bagatella, e vanno avanti, vanno avanti…”.

A confronto delle dichiarazioni dirompenti dei due vicepremier,  il Conte Zio praticava – per riprendere il Manzoni – “un parlare ambiguo, un tacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d’occhi che esprimeva: non posso parlare”

Nella compagine governativa gialloverde, dava l’impressione di essere – ricorro ancora ai Promessi sposi – “come quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe, e dentro non c’è nulla; ma servono a mantenere il credito alla bottega”.

ZIO PEPPINO

Si era autodefinito “Avvocato del popolo”, ma questa bellicosa espressione di sapore rivoluzionario era immediatamente neutralizzata dalla sua antropologia forlaniana.

In effetti la sua bonomia democristiana, la mitezza, l’eleganza, la gentilezza dei modi sono parsi molto rassicuranti e lo hanno fatto crescere sempre più negli indici di popolarità. Quello che doveva essere l’Avvocato del popolo è diventato lo Zio degli italiani. Zio Peppino, l’affabile zio avvocato che fa sempre comodo in famiglia. 

Tuttavia, pian piano, si è creato uno spazio politico rilevantissimo perché il momento storico vede la contrapposizione fra il governo e le élite(l’establishment). 

Così la mediazioneda metodo è diventata Conte-nuto ed è emersa la cifra democristiana del premier. O meglio (ribadisco): forlaniana. Il coniglio uscito dal cilindro è diventato un “coniglio mannaro”.

Fu appunto Arnaldo Forlani, valente leader dc, a vedersi affibbiata per primo, da Gianfranco Piazzesi, questa definizione bacchelliana – tratta dal “Mulino del Po” – che allude all’astuzia politica e alle capacità che possono celarsi dentro un carattere mite.

LA SVOLTA

La trasformazione di Conte, da Peppiniello nostro a statista forlaniano, si è appalesata nella drammatica trattativacon la Commissione europea sul DEF che ha condotto in prima persona e che al tempo stesso gli ha permesso di conseguire un successo storico(dal momento che tutti prospettavano uno scontro dirompente fra Roma e Bruxelles) e di accreditarsi – presso la nomenklatura della Ue– come l’unico vero interlocutore del governo italiano.

L’operazione gli ha permesso anche di guadagnarsi definitivamente la fiducia del presidente Mattarella. Conte – che si è costruita una sua tela di rapporti personali a livello internazionale, in particolare con Trumpe la Merkel– si è fatto ricevere in udienza privata pure da Papa Francesco, il 15 dicembre, probabilmente esibendo non solo la sua fede cattolica (cosa che a Bergoglio interessa molto relativamente), ma soprattutto la sua provenienza giovanile da quella “Villa Nazareth”che è stata il punto d’incontro della potente corrente cattoprogressistavaticana e anche di “cattolici democratici” come Prodi, Scalfaro, Scoppola, Leopoldo Elia e lo stesso Mattarella (da lì viene anche l’attuale Segretario di Stato vaticano, Parolin).

L’ANTI SALVINI

Cosa si siano detti Conte e Bergoglio in quel colloquio non è dato sapere. Fatto sta che a pochi giorni di distanza, il presidente del Consiglio – sul caso dei 49 migranti, che tanto interessava al papa – ha preso la clamorosa posizione che sappiamo, pubblicamente contrapposta a Matteo Salvini“se non li faremo sbarcare li vado a prendere io con l’aereo”.  Poi si è addirittura intestato la “soluzione” di questo caso (la ripartizione dei migranti), ancora una volta in accordo con la UE. 

D’improvviso si è materializzato un Conte imprevisto, un vero “anti Salvini”, capace di batterlo sul terreno dove il vicepremier da sempre trionfa (quello dell’emigrazione). 

Era inevitabile che in questa veste Conte raccogliesse simpatie a Sinistra. Di sicuro ha catalizzato l’interesse degli ambienti catto-vaticaniin cerca di rappresentanza nella crociata migrazionista anti-Salvini.

A questo punto d’improvviso tutti si sono accorti che Conte da comparsa era diventato un protagonista. Con quali prospettive? Il suo passato sembrava incolore. Ma lo era davvero?

PRODIANO/RENZIANO

L’antica collaborazione col suo famoso maestro Guido Alpa non lo caratterizzava politicamente. Gli erano state attribuite, per il passato prossimo, vaghe simpatie renziane e un’amicizia con la Boschi, ma anche questo non sembrava una cosa significativa.

Poi lui stesso ha rivelato di aver “votato per l’Ulivo di Prodi e Pd fino al 2013”. E Renziha sarcasticamente fatto sapere: “Conte me lo ricordo, quando ci mandava i messaggini tutto contento e entusiasta delle riforme che facevamo, della Buona Scuola, del referendum…”.

In sostanza, quel Conte che sembrava senza identità, si rivela invece il classico moderato, catto-progressista, di area PD, che probabilmente non era proprio del tutto sconosciuto – anche al Quirinale – quando Mattarella gli ha dato l’incarico di formare il nuovo governo.

Certo, il fatto che per la guida del loro primo governo i “rivoluzionari” grilliniabbiano scelto un democristiano, di area Pd, strappa più di un sorriso. Ma la cosa non va letta con ironia. E’ un fatto emblematico che spiega molte cose.

Renzi, dopo aver ricordato quei precedenti di Conte, lo ha polemicamente pizzicato aggiungendo: “A suo tempo, nel 2015, aveva tutta un’altra posizionesullo sforzo riformatore del Governo Renzi. È legittimo cambiare idea, specie se ti offrono incarichi importanti. Io penso che le idee valgano più delle poltrone”, 

Ma siamo proprio sicuri che il Conte prodian-renziano abbia avuto un’improvvisa folgorazionegrillina sulla via (non di Damasco, ma) di Palazzo Chigi?

E se – diversamente da quanto pensa Renzi – Conte in realtà rappresentasse proprio una soluzione “istituzionale”per disinnescare e, alla fine, “normalizzazione” il M5S

Fabio Martini, sulla “Stampa”, ha scritto che Mattarella “probabilmente avrebbe gradito che il Pd entrasse a far parte di una maggioranza incardinata sui Cinque Stelle con Conte premier”.

A quel tempo fu proprio Renzi a mettersi di traverso. Ma se con i nuovi assetti del Pd, ridimensionato Renzi, per una crisi dell’attuale governo si ripresentasse questo scenario, non sarebbe proprio Conte il più adattoad assumere la guida di un nuovo esecutivo M5S-PD, benedetto da Mattarella, da Bergoglio e dalla UE

Non è detto che ciò accada. Ma le prospettive politiche che si aprono davanti a Conte sono anche altre. E lo potrebbero “consacrare” definitivamente come il vero anti-Salvini. Come il Prodi del XXI secolo. I conti in Italia non tornano mai, ma Conte sì, tornerà.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 13 gennaio 2019

Parrà incredibile, ma l’Italia – violentata e saccheggiata nel suo patrimonio artistico, soprattutto da francesi e tedeschi(ma non solo) – sta rialzando la testa. Finalmente a Roma si torna a porsi il problema di riportare nel nostro Paese ciò che gli appartiene.

Lo ha capito in anticipo il saggio direttore tedesco degli UffiziEike Schmidt, che nei giorni scorsi ha fatto una sortita clamorosa chiedendo che il suo Paese, la Germania, restituisca il famoso quadro di Jan van Huysum“Vaso di fiori”, che apparteneva alle collezioni di Palazzo Pitti, a Firenze, e fu depredato dai soldati nazistidurante l’occupazione tedesca dell’Italia del 1943-1945. Schmidt lo ha fatto, secondo alcuni, per ingraziarsi il nuovo governo. Di sicuro ha il merito di aver capito che l’aria è cambiata. 

Sulle colossali razzie di tesori d’arte compiuti in Italia da tedeschi e francesi ho scritto, per “Libero”, il 25 novembre scorso, ma si tratta incredibilmente di un argomento tabù nel nostro Paese. 

Soprattutto in questi anni di fanatismo eurista, nei quali bisogna prostrarsi all’Unione Europea e anche solo ipotizzare la restituzione dei tesori saccheggiati può esporre all’accusa di truce sovranismoe bieco nazionalismo.

Avendolo fatto Schmidt che è tedesco gli euristi sono rimasti spiazzati. Egli infatti si è potuto permettere addirittura di aggiungere che“la Germania dovrebbe abolire la prescrizione per le opere rubatedurante il conflitto e fare in modo che esse possano tornare ai loro legittimi proprietari”, sottolineando che “per la Germania esiste comunque un dovere morale di restituire quest’opera al nostro museo: e mi auguro che lo Stato tedesco possa farlo quanto prima”.

Salvatore Giannella, in “Operazione salvataggio”(Chiarelettere), c’informa che in Italia mancano all’appello – dal saccheggio del 1943-1945 – almeno 1653 pezzi(di cui 800 dipinti, decine di sculture, strumenti musicali, tra cui violini Stradivari, e centinaia di manoscritti).

La mossa, meritoria, del direttore degli Uffizi,ha anticipatol’iniziativa del nuovo governo. Il ministro per i Beni e le Attività culturali, Alberto Bonisoli, infatti, ieri ha convocato il comitato istituzionale per analizzare il problema delle nostre opere d’arte che sono state depredatee sono finite all’estero (in epoche diverse e per motivi diversi).

Speriamo che sia la volta buona. Ma è sconcertante anzitutto il problema culturale che riguarda la nostra coscienza nazionale: perché in Italia è totalmente sconosciutociò che è accaduto? 

Né a scuola, né sui media trova spazio questo capitolo tragico e fondamentale della nostra storia. Eppure le razzie e le devastazionisubite hanno ferito non solo il patrimonio artistico delle nostre città, ma anche la nostra identità. L’anima del nostro popolo.

Per questo è meritorio il lavoro dei rari intellettuali che hanno disseppellito tutta questa storia, come Alessandro Marzo Magnocon il libro Missione Grande Bellezza: Gli eroi e le eroine che salvarono i capolavori italiani saccheggiati da Napoleone e da Hitler” (Garzanti)

E’ un libro straordinario, struggente e drammatico nella sua meticolosa ricostruzione dell’immenso patrimonio perduto che racchiudeva la nostra storia e la nostra identità, e che non solo è stato razziato, ma anche distrutto, devastato e disperso.

Il libro di Marzo Magno dovrebbe essere letto in tutte le scuole. Infatti questa vicenda fa anche riflettere su come, nel corso dei secoli, francesi e tedeschi (con Napoleone gli uni e con Hitler gli altri) hanno concepito l’unificazione del continente: come una loro conquista, per sottomettere gli altri popoli europei.

L’Italia è sempre stata considerata terra di conquistaed essendo uno scrigno unico al mondo di bellezza, è stato trattato come un santuario da saccheggiare. Colpisce però il silenziodi gran parte della cultura italiana e della politica su questa vicenda. 

Se vogliamo trovare qualcuno che ha sollevato il problema della restituzione delle opere rubateall’Italia, in tempi recenti, dobbiamo cercare soprattutto all’estero.

Un caso singolare è quello che riguarda la grande e meravigliosa tela di Paolo Veronese “Le nozze di Cana”che – da San Giorgio Maggiore, a Venezia–  fu “prelevata” e portata dai francesi al Louvredove si trova ancora. Il capolavoro, del 1563, è parte dell’immenso saccheggio subito da Venezia.

Qualche anno fa c’è stato chi ha pubblicamente sollevato il problema della sua restituzione, ma non si tratta di un intellettuale italiano. La vicenda è stata ricostruita da Marzo Magno.

Un avvocato parigino, Arno Klarsfeld, scrisse sul “Corriere della sera” del 1° febbraio 1994, che si doveva restituirel’opera del Veronese al luogo per cui fu dipinta, a Venezia: “Il Louvre”scrisse Klarsfeld “ospita il più grande furto pittorico commesso in nome della repubblica… niente giustifica la presenza delle Nozze di Cana nelle sale del Louvre: né le considerazioni d’ordine giuridico, né quelle di ordine artistico”

Poi su “Libération” replicò: “Bisogna restituire le Nozze di Cana a Venezia? Sì! Perché il quadro di Veronese, il più grande del mondo, non si trova più al proprio posto, nella sala del refettorio sull’isola di San Giorgio Maggiore. Refettorio concepito dal più importante architetto del rinascimento, Andrea Palladio, per ospitare la tela del Veronese. […] Un gioiello e il suo scrigno. […] La Francia non ne è proprietaria ad alcun titolo”.

Marzo Magno ricorda che il celebre avvocato, in questa sua battaglia, aveva accanto la sua fidanzata italiana del tempo: Carla Bruni. La quale dichiarava: “Il mio impegno per le Nozze di Cana, dopo che Arno me ne ha parlato, mi sembra più che normale, logico”. 

Ma poi – prosegue Marzo Magno – “come sappiamo, le cose sono andate diversamente. Carla Bruni non è diventata la signora Klarsfeld, bensì la moglie del presidente Nicolas Sarkozy(…) Dopo quella sortita dell’inverno di oltre vent’anni fa, né Arno Klarsfeld, né Carla Bruni sono più tornati sulla vicendadella restituzione del quadro a Venezia”. 

Le opere ancora da recuperaresarebbero moltissime. E non si tratta solo di dipinti, statue o manoscritti. Ci sono le tante cose distrutteche ormai sono perdute per sempre, come la cattedrale di San Pietro ad Alessandria, che era in stile gotico lombardo e che fu abbattutadai francesi nel 1803 per realizzare una piazza d’armi. 

Poi ci sono le opere scomparseche non si sa dove siano. Marzo Magno ricorda, per esempio, che a Venezia “in epoca napoleonica scompare l’archivio musicale del Pio ospedale della Pietà. Comprendeva anche le copie di tutte le partiture di Antonio Vivaldi, che ne era stato maestro di violino per 17 anni. Non si sa che fine abbia fatto… o è stato distrutto o è perduto”

Tuttavia “nel primo caso qualcuno avrebbe dovuto riportare la notizia della distruzione – clamorosa – di una tale mole di documenti. Dunque, ipotizza Fourés, è più probabile che sia perduto”. 

Ciò significa che, un giorno, potremmo ritrovare “le partiture di opere vivaldiane oggi perdute, per esempio l’oratorio Mosè o i concerti dedicati a paesi europei, come la Francia o la Germania, che sappiamo essere stati composti, ma che sono scomparsi”. 

E’ un caso che ha un alto valore simbolico: mentre l’Italia ha dedicato a Francia e Germania le sublimi musiche di Vivaldi, la Francia e la Germania hanno ricambiato invadendo l’Italia per saccheggiarla e distruggerla

Quando diciamo “Europa” dovremmo ricordare questa storia perché insegna molte cose anche oggi.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 10 gennaio 2019

Ma che sta succedendo nella Chiesa cattolica? La situazione non è solo catastrofica: è anche assurda. Infatti la realtà parla di chiese che si svuotanodrammaticamente in Occidente e di un Oriente dove i cristiani sono duramente perseguitati

La realtà parla di sparizione dei tradizionali movimenticattolici, di scontri interni alla Curia, di continui scandalie di enorme confusionefra i fedeli per le trovate rivoluzionariedi papa Bergoglio (che nei giorni scorsi ha pure “dimenticato” il dogma dell’Immacolata Concezione).

Ma di tutto questo gli ecclesiastici non si occupano e non si preoccupano. Ai pastori non interessano le pecore che si stanno smarrendo e disperdendo. 

La casta ecclesiastica è tutta presa dalla politica. E’ una vera febbre. Già questo è surreale, ma non basta. Infatti non vogliono portare nella politica la “dottrina sociale” della Chiesa o i “principi non negoziabili”, come si potrebbe credere. Seguendo il verbo bergogliano hanno un solo tema teologico-politicoda affermare con piglio fondamentalista:i migranti

Dunque i migranti ormai sono diventati la loro bandiera ideologicada sventolare, ma anche, addirittura, una sorta di soggetto messianico con cui ribaltare l’annuncio cristiano, perfino nel presepio: come se gli angeli avessero annunciato ai pastori l’arrivo del “migrante Gesù”, anziché la nascita del Figlio di Dio

Secondo il sentire comune della gente, gli ecclesiastici ormai si occupano solo di migranti, solo di loro parlano. E in effetti le gerarchie clericali si tuffano in politica con il preciso intento fare la guerra a Salvini: è lui il Satana a cui gridare “Vade retro!”, come proclamò la nota copertina di “Famiglia cristiana”

Proprio lui, che pure ha pubblicamente dichiarato di voler difendere le nostre radici cristiane, è il Male contro cui il mondo clericale si mobilita e si scatena.

Ieri Salvini, dall’Abruzzo, ha risposto: “sono un peccatore, ma non fesso. Quest’anno invece che 120 mila, ne sono arrivati solo 20 mila: 100 mila in meno, con un miliardo di risparmio, molti morti in meno e molti reati in meno”.

Significa che il vicepremier non demorde e non vuole che l’Italia torni ad essere il campo profughid’Europa e d’Africa. La maggioranza degli italiani e dei cattolici la pensa come lui

Proprio per questo ormai è continua la “chiamata” all’impegno politico contro Salvini, da parte dell’establishment bergogliano.  

Rispondono “presente” i giornali clericali, la Cei e – sia pure flebilmente – le associazioni cattoliche (o quello che ne è rimasto).

Ieri perfino l’ex presidente della Cei (oggi presidente dei vescovi europei), il cardinal Bagnasco, arcivescovo di Genova, che finora era considerato uno dei pochi rimasti in linea con il magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, si è schierato e si è guadagnato il titolo con cui “La Stampa”ha aperto la prima pagina: “ ‘Obiezione di coscienza’. La mossa della Chiesa contro il decreto sicurezza”.

Il riferimento era proprio all’arcivescovo di Genova: “La carica la suona il cardinale Bagnasco” che – secondo il giornale torinese – “schiera la Chiesa sul decreto sicurezza: ‘Sì all’obiezione di coscienza’”.

Sul caso “migranti della Sea Watch” è intervenuto pure mons. Guerino Di Tora, presidente della commissione per le migrazioni della Cei, che ha tuonato: “Chi si tira indietro non ha la coscienza a posto”.

Anche l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, tuona invitando a non “rimanere in silenzio dinnanzi ai disumani decretiche aggravano la sofferenza di chi è vessato da povertà e guerra”.

Non risulta si siano viste le stesse mobilitazioni, né così aspre denunce della chiesa bergogliana, negli ultimi sei anni in cui, grazie all’euro, alle politiche della UE e ai governi italiani allineati ad essa, da noi sono esplose la povertà e la disoccupazione (con migliaia e migliaia di aziende chiuse). 

Né si ricordano mobilitazioni papali e parole di fuoco in favore delle popolazioni terremotate e dei loro inverni al freddo. Sono solo due esempi (si potrebbero aggiungere la legge sulle unioni civili e altre trovate dei precedenti governi che avrebbero dovuto far reagire la Chiesa).

Nelle (tante) invettive politiche ecclesiastiche non si trova mai la critica all’Unione Europea, anzi: proprio la UE (da non confondere con l’Europa che tutt’altra cosa) sembra sia diventata l’ancora di salvezza politica di questa gerarchia clericale. Proprio questa Unione Europea che è diventata la realtà politica più laicista e anticristiana dell’Occidente. I clericali ne parlano con gli stessi argomenti entusiasti di Emma Bonino.

Quello che però sconcerta la casta ecclesiastica è il fatto che il popolo cattolico non li segua. Anzi, sembra fare la scelta opposta, dando la sua preferenza maggioritaria alla Legae ad altri gruppi sovranisti.

I cattolici, sia quelli più praticanti, che quelli meno praticanti, preferiscono rifarsi a Giovanni Paolo IIe a Benedetto XVI, cioè al tradizionale insegnamento cattolico, piuttosto che alle “rivoluzioni” bergogliane. 

Perciò il disappuntonell’élite clericale è palpabile. Sono generali senza esercito. Lo si percepisce in queste parole di padre Antonio Spadaro, che è lo stratega di papa Bergoglio: “Non basta più formare i giardini delle élite e discutere al caldo dei ‘caminetti’ degli illuminati. Non bastano più le accolte di anime belle… Facciamo discorsi ragionevoli e illuminati, ma la gente è altrove”.

In effetti la gente è altrove, i cattolici dissentono dalla gerarchia bergogliana, applaudendo Salvini. Anche se papa Bergoglio li bastonaproclamando che è meglio essere atei che essere cattolici che rifiutano l’invasione migratoria (oltretutto islamica, dunque assai poco integrabile).

I fedeli cattolici (con tutti gli altri) percepiscono, sulla propria pelle, che questo scombussolamento di popoli che entusiasma le élite (anche dell’Onu), è devastante sia per i paesi di arrivo che per i paesi di partenza(la pensano così anche i vescovi africani).

Dunque padre Spadaro vorrebbe riportare “in linea”la gente che è altrove. Così nei giorni scorsi ha preso la parola per vergareuna sorta di Manifesto politico, pubblicandolo sulla rivista dei gesuiti.

Se il Decalogo dato da Dio a Mosè sul Sinai è chiamato “le dieci parole”, padre Spadaro ha voluto far di meglio: a lui bastano “Sette parole per il 2019”per illuminare le genti (così spera).

Purtroppo però sono parole già sentite e risentite, da anni, in qualunque intervento di esponenti del PD e nei quotidiani articoli di “Repubblica”: la paura, le migrazioni, l’Europa, il populismo, la democrazia…

La sensazione è che tutto questo tuonare poi non porti alla formazione di una lista cattolica alle elezioni europee, perché contarsi sarebbe molto  controproducente. 

I più ritengono che tutto si risolverà in un appoggio ecclesiastico al PD, ancor meglio se guidato da Zingaretti, perché – si dice oltretevere – gli ecclesiastici dell’epoca bergogliana si trovano meglio con i post comunisti che con Renzi.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 6 gennaio 2019

Ieri il caso (o meglio il “casino”) del giorno è stato il post pubblicato dal blog delle Stelle, la voce del M5S, dove testualmente si leggeva: “Il Governo, la Manovra del Popolo. La Democrazia è sotto attacco. E’ in corso una delle più violente offensive nei confronti della volontà popolare perpetrata in 70 anni di storia repubblicana”.

Che stava accadendo? Un golpe militare? Un’invasione aliena? Un’offensiva dell’Isis? Niente di tutto questo. Ce l’avevano con i partiti di opposizione che, com’è ovvio, in Parlamento si oppongono alla manovra economica del governo. Normale dialettica democratica. Infattil’assurdo postè stato subito rimosso e il grillino presidente della Camera, Fico, ha attestato che“la democrazia non è sotto attacco” e che è “diritto”delle minoranze “opporsi alla legge di Bilancio” (chi l’avrebbe mai detto?).

Questo scivolone è il segno del nervosismo del M5Sche qualcuno ritiene vicino all’implosione (con sondaggi in discesa). 

Oltretutto proprio il governo è criticato perché ha fatto approvare al Parlamento la legge di bilancio senza rispettare le modalità di discussione e di approvazione previste dalla Costituzione. Dunque se straparlano, proprio dalla maggioranza, di “attacco alla democrazia” fanno autogol.

Un altro autogol è stato anche l’ennesimo attacco alla stampa (a cui peraltro sono stati tagliati i fondi per l’editoria).

Se a giugno si poteva parlare di “pregiudizio universale” da parte dei media che sparavano a zero contro un governo che era appena nato, oggi, di fronte alla manovra economica dell’esecutivo, i giornali hanno tutto il diritto di esprimere le loro critiche.

L’insofferenzaa tali critiche, l’essere impermeabili alle osservazioni anche costruttivedell’opposizione e la disinvoltura nel ridurre le prerogative del Parlamento, francamente preoccupanopure chi non ha mai avuto pregiudizi verso questo governo e anzi ne ha difeso le ragioni.

E’ vero che giornali e sindacati per anni hanno taciuto (o addirittura applaudito) di fronte ai disastri dei governi precedenti(è la memoria di questi disastri che per ora sostiene nei sondaggi questo esecutivo).

Tuttavia anche l’attuale manovra economica si presta a molte e fondate contestazioni. Le preoccupazioni per il futuro dell’economia(manifestate anche da imprenditori del Nord vicini alla Lega) sono serie ed è soprattutto da Matteo Salviniche ci si aspettano delle risposte.

Perché è lui che ha mostrato più di tutti capacità di leadershipnel governo, avendo di fatto risolto in poche settimane un problema drammatico, come l’arrembaggio migratorio, che per anni era stato fatto subire passivamente all’Italia dai governi precedenti che anzi lo avevano dichiarato irrisolvibile.

Le domandeche anche i suoi estimatori si pongono sono tante. Era proprio necessario pagare un notevole costo economicoper fare oggi una manovra che tre mesi fa avremmo potuto fare gratis e senza doverci umiliare davanti alla Ue, che ne è uscita vincitrice?

Ci possiamo permettere una manovra che non rilancia la crescita, che fa salire la pressione fiscale invece di abbatterla, che dà mance assistenziali ad alcuni e punisce altri senza motivo, in un momento di stagnazione economica e con la prossima fine del QE?

Non si rischia, sbagliando manovra, di riconsegnare l’Italia nelle mani dei governi tecnici“lacrime e sangue” e di far crescere – per rimbalzo disperato – la fiducia verso la fallimentare Ue?

Quale futurodell’Italia si vuole e come si ritiene di costruirlo? Per esempio, i possibili aumenti dell’Iva previsti per il 2020 (per 23 miliardi) e nel 2021 (per circa 29 miliardi) come clausole di garanzia verso la UE, quale governo – e quale Italia – può permettersele senza precipitare?

Certo, ci sono anche cose buone nella manovra, ma nel suo insieme sembra comprometterela già delicata situazione della nostra economia. 

Soprattutto colpisce la mancanza di visione del futurodel Paese. Il governo sembra voler coltivare consensi in vista delle europee, ma non spiega dove sta andando.

Allora va ricordata a Salvini – su cui (come mostrano i sondaggi) si appuntano le speranze di molti – la frase di De Gasperiche proprio lui ha citato nella recente manifestazione di Piazza del popolo, a Roma:“Un politico politicante pensa alle prossime elezioni, uno statista pensa alle prossime generazioni”

Ci servono statisti.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 31 dicembre 2018

A fine anno, per i media, è tempo di oroscopi. Il frivolo divertimento di leggere, sulla nostra vita, “previsioni” che non si avverano mai sembra inspiegabile, eppure fa emergere la brama che abbiamo di cercare, in qualche modo, le tracce del nostro destino

In fondo desideriamo scoprire che la nostra esistenza non è un accidente del caso e non si consuma in un ingorgo di eventi senza scopo, ma che c’è un disegnoe qualcuno lassù ci ha voluti. 

Vorremmo poter dire, come il salmista, a quel Qualcuno: tu mi conosci fino in fondo./Non ti erano nascoste le mie ossa/ quando venivo formato nel segreto./ …Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi/e tutto era scritto nel tuo libro;/i miei giorni erano fissati,/quando ancora non ne esisteva uno”.

Vorremmo essere rassicuratiascoltando parole così: Non lascerà vacillare il tuo piede,/ non si addormenterà il tuo custode/ …Di giorno non ti colpirà il sole,/ né la luna di notte./ Il Signore ti custodirà da ogni male:/ egli custodirà la tua vita”(e sto citando ancora parole dei salmi).

Ma noi siamo così evoluti, nel XXI secolo, che liquidiamo con un sorrisetto la Sacra Scrittura. Ci riteniamo “superiori”. Però siamo incuriositi dagli oroscopi e interpelliamo gli astri.

Da dove vengono gli oroscopi? Fin dalla notte dei tempi gli uomini hanno scrutato il cielo stellato pensando che nella misteriosa scritturadella volta celeste fosse svelato l’enigma di ciò che accade sulla terra.

Ma quando e perché è nato lo Zodiaco? Tutti gli indizi portano in Mesopotamiae in particolare ai Sumeriattorno al IV millennio a.C. Questo straordinario popolo “inventò” lo Zodiaco per motivi scientifici, dopo una millenaria e acutissima osservazione dei movimenti dei corpi celesti.

“Le costellazioni dello Zodiaco” scrive Elio Cadelonon furono fissate a caso, ma in maniera razionale e ‘scientifica’: furono fissate una ogni 30°lungo l’eclittica corrispondenti ad un’ora sumerica. In altre parole, a quel tempo, ogni ora sorgeva e tramontava una costellazione nel cieloo, se si preferisce, l’apparizione nel cielo notturno di una nuova costellazione indicava il trascorrere di un’ora. Furono le 12 costellazionia dividere il tempo del giorno che, in base al sistema sessagesimale, fu di 12 ore. Ma i Sumeri” aggiunge Cadelo “fecero di più. Suddivisero anche l’anno in 12 mesie ogni segno zodiacale sull’eclittica corrispondeva  a un mese dell’anno che fu chiamato ‘la via di Anu’. Un sistema perfetto”.

Dunque, secondo Ruppert Gleadow, “lo Zodiaco  crebbe (e non poteva essere altrimenti) come un congegno per misurare il tempo. Solo più tardi poté essere usato per la divinazione ed ancora dopo per l’analisi del carattere”.

E’ evidente che queste antiche civiltà avevano acquisito ed elaborato conoscenze (anche matematiche) davvero molto significative. Peraltro il cielo stellatoveniva da loro usato anche come una perfetta macchina per l’orientamento nella navigazione in mare aperto.

Uno degli aspetti più stupefacenti è il fatto che lo Zodiaco era conosciuto da gran parte delle popolazioni e delle civiltà antiche, anche quelle che si riterrebbero isolate, per lontananza, dalle altre. Cosa che suscita molti interrogativi sulla circolazione delle conoscenze, ma anzitutto sulle rotte di navigazione percorse da quegli antichi uomini che probabilmente ebbero una capacità per noi sorprendente di solcare i mari.

Quindi, diversamente da ciò che crediamo non c’è stato in questo caso un “pensiero magico” che ha preceduto il pensiero scientifico, ma, al contrario, lo Zodiaco nasce come astronomia e solo molto tempo dopo diventa astrologia.

Quello che resta immutatonel corso dei millenni èlo stuporeper la magnificenza della volta stellata e per la meccanica celeste. 

Piero Boitani, che ha dedicato un bellissimo libro “Il grande racconto delle stelle” (Il Mulino)alle stelle nella letteratura, da Omero ai giorni nostri, fa capire che lo scienziato di oggi e Giacomo Leopardi, il quale contemplava da poeta le “vaghe stelle dell’Orsa”, sono accomunati proprio dalla stessa meravigliaper la bellezza.

Boitani cita infatti queste parole del grande matematico Henri Poincaré: “Lo scienziato non studia la natura perché ciò è utile, la studia perché ne prova piacere e ne prova piacere perché essa è bella. Se la natura non fosse bella non varrebbe la pena di conoscerla e la vita non varrebbe la pena di essere vissuta(…) parlo di quella bellezza (…) che viene dall’ordine armonioso delle partie che un’intelligenza pura è capace di afferrare”.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 30 dicembre 2018

“Di nuovo soli”è il titolo dell’ultimo libro di Zygmunt Bauman, delle cui opere in genere si ricordano solo i titoli. In effetti la parola solitudinefotografa davvero lo stato d’animo generale di questo Natale 2018in cui nessuno attende più nulla, perché non ci sono più speranze

Senza speranza ci si arrangia vivendo alla giornata. Ma si riempie il vuoto della vita con le parole (vuote anch’esse): di politica, di economia, di varia umanità, di cazzeggio, di religione ormai diventata una chiacchiera mondana (sull’emigrazione, il clima o la spazzatura differenziata). 

Nell’epoca del “secondo me” vero e falso si confondono, per cui non resta che insultarsi. Nulla compie le attesee nulla guarisce il doloregli uomini.

Fra le rare parole che dicono ancora qualcosa ci sono quelle della poesia. Per esempio, sembrano scritti oggi i “Cori da La Rocca” di Thomas S. Eliot:

“Il destino degli uomini è infinita fatica 

oppure ozio infinito, il che è anche peggio,

oppure un lavoro irregolare, il che non è piacevole”.

Il poeta inglese continua: 

Il mondo rotea e il mondo cambia,

Ma una cosa non cambia.

… Comunque la mascheriate, questa cosa non cambia:

La lotta perpetua del Bene e del Male.

Dimentichi, voi trascurate gli altari e le chiese;

Voi siete gli uomini che in questi tempi deridono

Tutto ciò che è stato fatto di buono,

trovate spiegazioni

Per soddisfare la mente razionale e illuminata.

E poi trascurate e disprezzate il deserto.

Il deserto non è così remoto nel tropico australe,

Il deserto non è solo voltato l’angolo,

Il deserto è pressato nel treno della metropolitanaPresso di voi, il deserto è nel cuore di vostro fratello”.

Poi il tono del poeta diventa fiammeggiante come quello di un profeta

“Il Verbo del Signore mi giunse dicendo:

O città miserabili d’uomini intriganti,

O sciagurata generazione d’uomini colti,

Traditi nei dedali del vostro stesso ingegno,

Venduti dai profitti delle vostre invenzioni:

Vi ho dato mani che distogliete dall’adorazione,

Vi ho dato la parola, e voi l’usate in infinite chiacchiere

… Leggete molto, ma non il Verbo di Dio.

Costruite molto, ma non la Casa di Dio”.

Le “infinite chiacchiere”sono un rumore di fondo che si fa assordante e non c’è una sola parola che riempia la solitudine. Una colossale nube tossica di parole avvolge il mondo e tutto si fa ogni giorno più complicato e cattivo. Si brama il silenzio. Ma dove trovarlo?

E’ la Parola di Dio che nasce nel silenzio. Il Nataleè l’avvenimento di Dio che si fa uomo per colmare l’attesa e la solitudine degli uomini, ma tutto avviene nel silenzio

Per raccontare l’unica vera rivoluzione della storia, il Vangelo non riporta nemmeno una parola di Maria e di Giuseppe, lì nella grotta. Viene al mondo il Verbo di Dio, la Parola creatrice di tutto l’universo nel più grande silenzio.

Dunque, il “silenzio di Dio” non è il segno della sua terribile lontananza o addirittura della sua indifferenza, ma, al contrario, della sua presenza, del suo amore appassionato, vivo e operante. 

Tuttavia per riconoscerequesta eccezionale presenza divina bisogna saper leggere i segni. Sia ai pastori che ai Magi – i primi che lo riconobbero – furono dati dei segni.  

Ai Magila stella che – per la loro cultura – significava la nascita di un re in Israele. Ai pastoriil segno di un bambino in una mangiatoia. A loro infatti l’angelo disse: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. 

Un Salvatore del mondo che nasce in una stalla sembra un segno contraddittorio, assurdo. Eppure Dio è un Re che si abbassa e si umiliaa tal punto per amore. E’ l’amore che si manifesta nell’umiltà e nel silenzio.

Il Vangelo infatti prosegue:“E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama’ ”
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Il papa  Benedetto XVI spiegava:

“Fino a quel momento gli angeli avevano conosciuto Dio nella grandezza dell’universo, nella logica e nella bellezza del cosmo che provengono da Lui e Lo rispecchiano. Avevano accolto, per così dire, il muto canto di lode della creazione e l’avevano trasformato in musica del cielo. Ma ora era accaduta una cosa nuova, addirittura sconvolgente per loro. Colui di cui parla l’universo,il Dio che sostiene il tutto e lo porta in mano – Egli stesso era entrato nella storia degli uomini, era diventato uno che agisce e soffre nella storia.Dal gioioso turbamento suscitato da questo evento inconcepibile, da questa seconda e nuova maniera in cui Dio si era manifestato – dicono i Padri – era nato un canto nuovo, una strofa del quale il Vangelo di Natale ha conservato per noi: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini’.(…). La gloria di Dio è nel più alto dei cieli, ma questa altezza di Dio si trova ora nella stalla, ciò che era basso è diventato sublime. La sua gloria è sulla terra, è la gloria dell’umiltà e dell’amore”. 

Il papa proseguiva: 

la gloria di Dio è la pace. Dove c’è Lui, là c’è pace. Egli è là dove gli uomini non vogliono fare in modo autonomo della terra il paradiso, servendosi a tal fine della violenza. Egli è con le persone dal cuore vigilante; con gli umili e con coloro che corrispondono alla sua elevatezza, all’elevatezza dell’umiltà e dell’amore. A questi dona la sua pace, perché per loro mezzo la pace entri in questo mondo”.

Benedetto XVI– il “dolce Cristo in terra” che per anni ci ha affascinato con il suo insegnamento – oggi è diventato anch’egli una presenza silenziosa.

In questo tempo smarrito, di uomini soli, che hanno abbandonato Dio e disertano le chiese, riempiendo il vuoto con “infinite chiacchiere” (o – come dice Eliot – con “usura, lussuria e potere”), Dio sembra aver dato di nuovo il segno della sua presenza viva e potente connotata dal silenzio.

E’ appunto il silenzio di Benedetto XVI. Da sei anni, per la prima volta nella storia, abbiamo un Papa che parla con la sua presenza misteriosamente silenziosa. Perché viviamo un tempo eccezionale. 

Alla modernità che, nel XX secolo, ha devastato il mondo con le sue ideologie e poi ha accusato Dioper il suo silenzio, giudicandolo come indifferenza di fronte alle sofferenze umane, alla modernità che ha ridotto Dio al silenzio, che non lo ascolta più, che lo ha imbavagliato e dimenticato, Dio risponde con un silenzio che ha un volto e un nome di padre.

Il grande cardinale Robert Sarahha scritto un libro bellissimo, “La forza del silenzio (contro la dittatura del rumore)”. Un libro che a me sembra proprio dedicato a Benedetto XVI, a far capire la grandezza della sua attuale testimonianza silenziosa.

papa Benedetto, nella prefazione a questo volume, ha ricordato le parole di S. Ignazio di AntiochiaÈ meglio rimanere in silenzio ed essere, che dire e non essere”

Il silenzio di Dio porta sempre grandi cose.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 24 dicembre 2018

C’è, da tempo, un ritornello luogocomunista che parla della Chiesa come un’istituzione sessuofoba e repressivala quale avrebbe distrutto la “joie de vivre” che – a quanto si dice – caratterizzava le antiche civiltà pagane, libere dal moralismo cattolico. Dalla secolare “repressione” clericale e dalle sue proibizioni – secondo questa narrazione – deriverebbero i sensi di colpa e le nevrosi di cui ancora dovremmo liberarci.

Bene, se avete sentito ripetere questa cosa (e di sicuro l’avrete sentita in mille salse), sappiate che non è vera. E’ una colossale ed epocale bufala.

Ad affermarlo non è un “bigotto”, ma è addirittura uno dei grandi maestri dell’occidente laico moderno, uno che sicuramente non può essere sospettato di “cattolicesimo”: Michel Foucault.

Gallimard ha pubblicato, in Francia, la sua opera postuma “Les aveux de la chair”(Le confessioni della carne), quarto volume della sua “Storia della sessualità”

Un testo erudito dove il pensatore francese – con un’attenta analisi dei testi della cultura classica e della patristica – demolisce proprio l’idea oggi dominante per cui la sessualità sarebbe stata repressa per secoli dalla Chiesa, mentre nella modernità tornerebbe ad esprimersi liberamente, come nell’antichità pagana, grazie all’emancipazione che ci libera dai vincoli moralistici del cristianesimo.

Foucault scrive: 

“La ‘carne’ deve essere intesa come un modo dell’esperienza, cioè come un modo di conoscere e trasformare se stessi, secondo una certa relazione tra l’annullamento del male e la manifestazione della verità. Con l’arrivo del cristianesimo non si è passati da un codice tollerante nella sessualità ad un codice rigoroso, restrittivo e repressivo. È necessario pensare diversamente i processi e le loro articolazioni: la costituzione di un codice sessuale, organizzato attorno al matrimonio e alla procreazione, è stato in gran parte iniziato prima del cristianesimo, fuori di esso, accanto ad esso. Il cristianesimo lo ha fatto proprio nelle cose essenziali. E fu nel corso dei suoi sviluppi successivi e attraverso la formazione di certe tecniche dell’individuo – disciplina penitenziale, ascetismo monastico – che si formò un tipo di esperienza la quale fece sì che quel codice giocasse in un modo nuovo, prendendo forma, in un modo molto diverso, nella condotta degli individui”.

Così scopriamo che tutto ciò che viene addebitato alla Chiesa come colpa (lo scopo procreativo della sessualità nel rapporto coniugale, l’obbligo di fedeltà, il rifiuto degli atti omosessuali eccetera) è un codice che era già stato elaborato dal pensiero classico, cioè dai filosofi dell’epoca pagana.

La Chiesa lo ha fatto proprio (fondendolo con l’insegnamento della Sacra Scrittura) senza accentuare affatto il rigore e i sensi di colpa, ma anzi spalancando un orizzonte nuovo e liberante, che è quello del perdono insieme all’ascesi per la vita eterna. 

La Chiesa ha fatto irrompere la potenza della grazia dei sacramenti e della misericordia nel caotico guazzabuglio delle passioni umane, rendendo capaci gli uomini normali di realizzare ciò che i filosofi antichi consideravano l’ideale. 

In sostanza il cristianesimo ha inscritto l’esperienza dell’amore terreno nell’orizzonte del grande Amoreper cui è fatto il cuore umano: Dio, l’infinito fattosi carne e rivelatosi storicamente con il volto di Gesù Cristo.

Leggendo le pagine di Foucault si direbbe che trova conferma nella cultura classica quanto la Chiesa insegna a proposito di “legge naturale” e di “famiglia naturale”.

Foucault intuisce e spiega che il cristianesimo non ha affatto cercato di annientare l’esperienza della sessualità. Tuttavia non va oltre. 

La cultura moderna non fa i conti davvero e fino in fondo con l’annuncio cristiano. Se ci provasse scoprirebbe che il cristianesimo – oltre a non disprezzare la carne – spalanca l’orizzonte più esaltante alla corporeità umana.

Giorgio La Piraprovocatoriamente sosteneva che il cristianesimo è l’unico, vero materialismoperché annuncia che Dio stesso si è fatto carne e addirittura che la nostra stessa carne risorgerà e vivrà eternamente. 

Anche il teologo Romano Guardiniaccentuava questo che è l’aspetto centrale del cristianesimo – legato all’incarnazione e alla resurrezione del Figlio di Dio – perché è proprio questo l’essenziale che viene oggi dimenticato. Dall’esperienza della vita divina, partecipata già sulla terra attraverso la vita comunitaria e i sacramenti, ne escono trasfigurate anche la corporeità e la sessualità, come ci mostra la grande letteratura monastica di oriente e di occidente.

Resta da chiedersi se la cosiddetta rivoluzione sessualeche, da alcuni decenni, avrebbe emancipato i moderni dal cristianesimo abbia portato la felicità promessa o se invece – come a me pare – si sia risolta nel tragico fallimentodi tutte le altre rivoluzioni.

L’ultimo Pier Paolo Pasoliniintuì che proprio la cosiddetta liberazione sessuale stava diventando l’estremo, raffinato strumento del potereper stabilire la più brutale delle dominazioni sull’anima degli individui e sui loro corpi. 

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Antonio Socci

Da “Libero”, 23 dicembre 2018