E’ un paradosso. Mentre Matteo Salvini riempie Piazza delpopolo a Roma, ricordando la festa dell’Immacolata, citando De Gasperi e Giovanni Paolo II e, anzi, facendone il punto di riferimento ideale,la burocrazia ecclesiastica della Cei organizza una crociata politica propriocontro la Lega di Salvini, tanto che, sempre ieri, il “Fatto quotidiano” titolava in prima pagina: “I vescovi tornano a far politica”. E nell’interno: “Il progetto diBassetti: così la Chiesa prepara il ritorno in politica”.

In realtà nella storia del cattolicesimo politico non sono mai stati i vescovi a prendere l’iniziativa partitica, quindi più che un ritorno sarebbe un’assoluta (e catastrofica) novità.

L’articolista del “Fatto” spiega che il card. Bassetti ha messo all’ordine del giorno del consiglio permanente della Cei di gennaio la nascita di uno strumento di intervento politico: “così la Chiesa si organizza per dare un’opposizione all’Italia”.

E’ un paradosso perché la Lega si sta candidando a rappresentare l’asse della politica italiana come una sorta di DC del terzo millennio (e non a caso i sondaggi la collocano sulle percentuali della DC).

Ma l’establishment ecclesiastico si contrappone proprio a questa Lega con un manifesto politico sull’Europa (e sull’emigrazione) che ricalca gli argomenti di “Più Europa”, di Emma Bonino, e spazza via i tradizionali temi cattolici.

Resta da capire e da vedere se veramente l’attivismo del card. Bassetti, che telefona continuamente a tutti i vescovi per mobilitarli, sfocerà in qualche iniziativa politica che possa poi trasformarsi in lista, alle elezioni Europee, oppure se sceglieranno di non farsi contare, per evitare pessime figure e anche per evitare contestazioni relative al Concordato del 1984, dove Chiesa e Stato si riconoscono indipendenza e sovranità, ciascuno nel proprio ordine, e non ammettono interferenze dirette.

Per evitare conflitti istituzionali di questo genere tutto l’agitarsi convulso dei vescovi, alla fine, potrebbe servire semplicemente a cercare di smuovere le parrocchie a favore del PD o del possibile, eventuale, partito di Matteo Renzi.

Il quale peraltro ha messo i semi del suo possibile partito con i cosiddetti “comitati civici” che – già dal nome – evocano l’iniziativa di Luigi Gedda e dell’Azione Cattolica nelle elezioni del 1948.

A dire il vero non è chiaro quale sia l’analogia fra quelle straordinarie e storiche elezioni e la situazione attuale dell’Italia.  

A quel tempo era c’era una questione di vita o di morte, sia per l’Italia che per la Chiesa. I “comitati civici” si mobilitarono a favore della Dc contro il comunismo che era arrivato, con le sue armare, fino a Trieste e che, il 18 aprile 1948, rischiava di prevalere nelle urne in tutta Italia. Fu una difesa della democrazia e della civiltà cristiana, una battaglia a protezione della Chiesa e della democrazia italiana.

Nel caso odierno invece la Cei e le associazioni cattoliche ufficiali si schierano in difesa di un’Europa laicista che ha rinnegato le “radici cristiane”, mentre Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – a suo tempo – criticarono duramente questa Europa tecnocratica per il suo laicismo e per il dilagare di una mentalità e di politiche nichiliste.

L’iniziativa del presidente della Cei peraltro è non solo un rinnegamento dei precedenti pontificati, ma è anche un rinnegamento del Concilio Vaticano II che ha proclamato la responsabilità del laicato cattolico nel campo della politica.

E’ anche un colossale rovesciamento di posizioni (non dichiarato) nei confronti della cosiddetta “scelta religiosa” che l’Azione Cattolica fece già negli anni Settanta per giustificare l’abbandono della presenza culturale e sociale (in anni in cui dilagava il conformismo marxista).

Nel caso in cui il soccorso della Cei sia indirizzato al PD o al (possibile) partito di Renzi i vescovi dovranno anche spiegare l’appoggio a chi, quando era al governo, ha promosso leggi contrapposte alla sensibilità cattolica.  

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Antonio Socci

Da “Libero”, 9 dicembre 2018

Anche il più sfegatato fan di questo esecutivo ha, oggi, la sensazione che il governo si sia cacciato in un vicolo cieco e che sarà molto difficile uscirne senza danni, per l’attuale maggioranza o per il Paese.

Ormai si è capito, infatti, che la Commissione Europea – su mandato di Germania, Francia e degli altri paesi “amici” che vogliono l’Italia sotto scacco – non mollerà mai perché vuole far pagare al governo Lega-M5S le sue posizioni anti UE, per dare una lezione a tutti i “sovranisti” (colpirne uno per educarne cento), anche in vista delle prossime elezioni europee.

La Commissione europea ha in mano la corda (fornitale da chi, nei decenni scorsi, ha ceduto gran parte della nostra sovranità a Bruxelles), mentre il governo italiano ha il nodo scorsoio al collo (per la pesantissima eredità dei governi passati). Continua

Una bambina di dieci anni dà lezione di saggezza a un mondo scolastico intriso di multiculturalismo “politically correct” e soprattutto dà lezione di cristianesimo ai vertici clericali e vaticani. Due episodi, avvenuti in simultanea, diventano emblematici.

Nelle stesse ore in cui il vertice della Cei e le associazioni cattoliche ufficiali – spinte da papa Bergoglio – si lanciano direttamente in politica, in difesa dell’Unione Europea più laicista e anticattolica, mentre – da “Avvenire” – lanciano una crociata contro le identità, buttando a mare le “radici cristiane” della nostra storia, una bimba di una scuola veneta, con mitezza e semplicità, fa capire a tutti che è assurdo, nella recita natalizia, cancellare il nome di Gesù da una canzone di Natale per non urtare la sensibilità di bambini di un’altra religione. Ha scritto: “A Natale è nato Gesù e noi lo vogliamo dire a tutti”.

E’ puro buon senso, dal momento che si festeggia il Natale appunto perché è la nascita di Cristo. Ma oggi è un tempo in cui anche le cose più elementari e ovvie vengono cancellate. Verrebbe da dire con la Bibbia: Con la bocca dei bimbi e dei lattanti/ affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,/ per ridurre al silenzio nemici e ribelli”.

La “lezione” è anzitutto per i vertici clericali, il Vaticano e la Cei, che ormai si stanno tuffando in un’assurda impresa politica la quale ha come capisaldi l’immigrazionismo, il “politically correct” e questa Unione Europea che cancella le “radici cristiane”, le identità, le tradizioni e le sovranità dei popoli. Continua

Oggi è uscito il mio libro “Il segreto di Benedetto XVI (perché è ancora Papa)” edito da Rizzoli. Sono uscite delle anticipazioni su “Libero”, sulla “Verità” e sul “Giornale”. Inoltre sono stati pubblicati degli articoli sul libro di Marco Tosatti (QUI) e Maria Giovanna Maglie (QUI)

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La profezia di Fatima su questo nostro tempo è eloquente e fa riflettere. Ma forse c’è ancora di più che è rimasto nell’ombra e che è davvero inquietante.

C’è un “dettaglio” che emerge dopo tanti anni (…). È noto che Giacinta e Francesco morirono poco dopo le apparizioni per la febbre spagnola che divampò in tutta Europa. (…) Giacinta fu particolarmente legata alla figura di un papa, evidentemente un papa futuro rispetto agli anni della sua vita.

Nella terza memoria scritta da Lucia – in data 31 agosto 1941 – si trova riportata una visione della piccola Giacinta (oggi canonizzata dalla Chiesa) che fa pensare a Benedetto XVI. Ma nella documentazione sulle apparizioni di Fatima è contenuta anche una frase della Madonna che Giacinta riferisce a chi la interroga (…).

Una frase breve, ma terribile, pronunciata dalla Vergine durante l’apparizione del 13 ottobre 1917, quella in cui si verifica il “miracolo del sole” (uno spaventoso vorticare del sole nel cielo) davanti a 70.000 persone, compresi diversi giornalisti. (…)

Ne sono venuto a conoscenza quando un amico padovano, pellegrino a Fatima, me l’ha segnalata girandomi il testo di un corso sui messaggi della Madonna tenuto nel 2017 al santuario portoghese. Il suo titolo: “Curso sobre a Mensagem de Fátima ‘O triunfo do amor nos dramas da História’ ”.(…)

Nella parte finale, quella della documentazione storica, si riportano tutte le apparizioni e al capitolo sull’apparizione del 13 ottobre 1917, alla pagina 40, si legge testualmente: “E assumendo un aspetto più triste, [la Madonna disse]: ‘Non offendano più Nostro Signore che è già molto offeso! Se il popolo si emenderà, finirà la guerra, se non si emenderà, finirà il mondo’”. Continua

“E credo che per ristabilire l’amicizia europea, sarebbe bene che – prima di tutto – i ladri restituissero la refurtiva”. Così tuonò Piero Calamandrei, nel suo storico discorso del 1951, a Londra, parlando delle “Opere d’arte in Italia e la guerra”.

Chi sono stati coloro che hanno “spogliato” l’Italia trafugando i suoi tesori? Anzitutto Germania e Francia, proprio quei paesi che oggi pretendono di insegnare l’europeismo e di condannare gli italiani come “nazionalisti” perché cercano di difendere i loro interessi.

Due volte hanno provato con le armi e il sangue a “unire l’Europa” sotto il loro dominio: prima con Napoleone e poi con Hitler. In entrambi i casi sono venuti in Italia a massacrare e derubare i nostri immensi tesori d’arte (che poi sono la nostra anima e la nostra identità).

Chi oggi vuole davvero “fare l’Europa” dovrebbe cominciare a chiedere – con Calamandrei – la restituzione della “refurtiva”. Ma non facciamoci illusioni. In questa Europa all’Italia si riservano solo attacchi. A noi nessuno restituisce alcunché. Continua

La Chiesa sta attraversando la più grave crisi della sua storia. Perché?

Cosa è veramente accaduto nel 2013? Chi voleva una rivoluzione nella Chiesa? E che tipo di “rinuncia” è stata quella di Benedetto XVI? Perché si definisce “papa emerito”? Qual è la sua misteriosa missione attuale?

Domande che porteranno a scoperte sorprendenti. E a comprendere come e perché Benedetto XVI è ancora papa.

Si possono trovare notizie sul libro e si può prenotare il volume  QUI  e QUI 

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Alla commemorazione della fine della Prima guerra mondiale, il presidente francese Macron ha esaltato il “patriottismo” (proprio) e ha “bombardato” quello altrui squalificandolo come “nazionalismo”. Ce l’aveva con il sovranismo dei paesi (come l’Italia) che non si vogliono sottomettere al nazionalismo di francesi e tedeschi.

Donald Trump, in un tweet, ha scritto che Macron cerca di parlar d’altro perché ha, in Francia, un livello di consenso troppo basso (il 26%) e un livello di disoccupazione troppo alto (circa il 10%). Poi Trump ha aggiunto: “a proposito, non c’è paese più nazionalista della Francia, gente molto orgogliosa, ed è giusto così”.

Insieme a Macron anche la Merkel ha tuonato contro il nazionalismo: ha detto che porta alla guerra. I due paesi più nazionalisti d’Europa, poco dopo aver dato queste “lezioni” agli altri, hanno realizzato un’intesa a due sul bilancio dell’eurozona, ovviamente penalizzante per l’Italia. L’ennesimo gesto di supremazia ed arroganza. Continua

Nei giorni scorsi – con il Paese colpito da alluvioni, frane e inondazioni – qualche arguto buontempone ha esposto in un’osteria un cartello con questa vecchia battuta: “i danni che ha fatto l’acqua, il vino non li ha mai fatti”.

Non sarà vera (lo ammetto subito, per i puritani), ma è ben trovata. E’ una comprensibile difesa di un tesoro – scusate il gioco di parole – di vino.

Del resto quello che i salutisti e i moralisti non vogliono capire (anche quando scrivono le leggi) è che il vino non è un “superalcolico”, non è un vizio da esorcizzare, limitare o magari proibire, non è un equivalente popolare della droga.

Il vino è civiltà. E imparare a degustarlo per capirne le delizie (anziché a tracannarlo per stordirsi) fa parte della sua raffinata cultura.

Se lo comprendessimo sarebbe facile riconoscere – ad esempio – che la “notizia” culturale del momento in Italia è il vino novello della recente vendemmia. Come la prima della Scala, ma molto più importante. Solo a una mentalità urbanocentrica – com’è quella dei media – sfugge un simile evento popolare dell’Italia profonda.

Ci sono altre verità da portare alla luce, in una eventuale difesa apologetica del vino. Per esempio questa: il vino non è una bevanda. La Coca Cola è una bevanda, il vino no.

Il vino – dicevo – è civiltà, come il diritto romano, come la nostra letteratura e la nostra musica. Come la poesia stilnovista, come Caravaggio e come Vivaldi.

E’ civiltà anche il maiale, certo, infatti – e non a caso – è stato accostato alla musica di Verdi nella celebre – e sagacissima – battuta parmigiana secondo cui “il Rigoletto è c’me ‘l gozen (come il maiale): non si butta via niente”.

Ma il vino è molto di più. Il vino che era di casa nella Roma, oggi fatta di ruderi, che visitiamo ai Fori imperiali o al Palatino e al Colosseo ed è di casa nella nostre cattedrali, come nelle feste paesane dei bellissimi borghi italiani.

Ieri – in rete – dappertutto si citava la poesia “San Martino” del Carducci: “Ma per le vie del borgo/ Dal ribollir dei tini/ Va l’aspro odor dei vini/ L’anime a rallegrar”.

Dunque è da secoli che il vino è un grande evento culturale del popolo. Ma non solo perché è celebrato in tante sagre italiane di questi giorni, perché è cantato nelle poesie che da bambini ci hanno fatto affacciare alla letteratura o in quelle – penso a Baudelaire – che, da grandicelli, ci hanno sedotto.

Per non dire della cultura latina che è intrisa tutta di vino, da Ovidio a Lucrezio, da Catullo e Orazio a Plinio e Petronio (memorabili le parole di Orazio: “Nessuna poesia scritta da bevitori d’acqua può piacere o vivere a lungo”). Continua

E’ accaduto qualcosa di eccezionale sotto i nostri occhi e non ce ne siamo resi conto. Per anni, fino a poco tempo fa, sono sbarcati sulle nostre coste a centinaia migliaia.

Un assalto massiccio e incontrollato che – prima di tutto – decretava la fine dello Stato italiano per la sua incapacità di proteggere i propri confini. Erano immigrati irregolari.

E tutti – ministri, giornalisti, intellettuali, papa e organismi internazionali – ci ripetevano: non ci si può far niente, bisogna subire, accoglierli e ospitarli a spese degli italiani (circa 5 miliardi all’anno) perché è un fenomeno epocale, inevitabile, sarebbe come pretendere di fermare il vento con le mani.

Sono bastate poche settimane di “cura Salvini” e tutto si è fermato: da 164 mila del 2016 (e 119 mila del 2017) siamo ai 22 mila del 2018 (sullo stesso periodo). Il famoso “fenomeno epocale”, che nessuno al mondo poteva bloccare, è finito. Continua

Stavolta il maltempo non solo ha fatto molte vittime (e ovviamente è questa la tragedia più grave), ma ha anche devastato immensi e bellissimi boschi, come quello – in alto Friuli – dei preziosi abeti rossi da cui si ricavano i violini Stradivari, o una foresta in Trentino. In Veneto si ha uno scenario apocalittico: 100 mila ettari di bosco distrutti. Con una miriade di frane.

Purtroppo – con buona pace degli ambientalisti che incolpano sempre l’uomo – la natura è la prima grande devastatrice di se stessa, come sapeva Giacomo Leopardi quando, nella “Ginestra”, ricordava la distruzione prodotta dai vulcani (il “formidabil monte/ Sterminator Vesevo”).

Nel disastro ambientale di questi giorni, anzi, l’opera dell’uomo è chiamata a “riparare” i danni della natura e anche a prevenirli e scongiurarli. A ben vedere poi, soprattutto in Italia, ciò che chiamiamo “natura” e che appare così puro, bello e affascinante, è in una certa parte opera dell’uomo stesso.

Mi spiego. L’Italia – oltre ad essere uno scrigno unico al mondo di tesori artistici, monumentali e architettonici – è un caso straordinario anche come ricchezze naturalistiche. Continua