Secondo una recente ricerca (Il Fatto quotidiano, 8/9) il PD va male nelle fasce popolari (ha meno del 10% del voto operaio) ed è invece il primo partito fra coloro che guadagnano più di 5 mila euro al mese (35%). Il Centrodestra è forte in tutte le fasce di reddito e il M5S è il primo partito fra chi prende meno di mille euro.

ROSSO ANTICO

Come si è prodotta una tale mutazione genetica del partito erede del Pci? Da partito della classe operaia a partito della ZTL. Sempre un partito di classe, ma a rovescio…

Nel 1974 Paolo Sylos Labini pubblicò un libro importante, “Saggio sulle classi sociali” (Laterza) da cui – fra l’altro – emergeva il forte radicamento popolare della Democrazia cristiana (non solo fra i contadini, ma anche fra gli operai), insieme al suo tradizionale radicamento nel ceto medio.

La forza politica della DC derivava proprio da questo interclassismo che le permetteva di fare sintesi fra i diversi interessi e guidare la crescita economica e sociale (straordinaria in quegli anni) dell’Italia.

Oggi un analogo interclassismo appartiene al Centrodestra che dovrà realizzare – se ne sarà capace – una sintesi politica altrettanto efficace.

Il PD cosa vorrà essere? La confusione regna sovrana. Spesso suoi esponenti ex Pci rivendicano il merito di aver fatto le riforme pretese dal Mercato (privatizzazioni, euro, riforma delle pensioni e smantellamento dello stato sociale). Si propongono come “i veri liberali”.

Ma è per il disastro sociale che ne è derivato che il Pd ha perso il suo vecchio popolo. Gli sono rimasti i nuclei ideologizzati a cui bastano le battaglie sui “diritti civili”, mentre sono state abbandonate quelle sui diritti sociali.

Il Pd ha pensato di ritrovare le classi popolari attraverso l’alleanza con il M5S (che è saltata proprio alla vigilia delle elezioni). Ma la politica grillina non è di tipo laburista, è populista, assistenziale e sostanzialmente opposta allo sviluppo. Porta alla decrescita infelice, dove peraltro porta pure la UE verso cui il Pd ha sempre avuto sudditanza.

TROPPO MERCATO

In questi tempi confusi capita di leggere, sul giornale storicamente legato alla Fiat e agli Agnelli, “La Stampa” (6/9), questo titolo a tutta pagina: “Troppo mercato uccide la libertà”.

Il concetto (condivisibile, a parere di chi scrive) non può che sorprendere su quel quotidiano, ma fa capire bene le evoluzioni e il trasformismo di certe élite che in questi decenni hanno cavalcato (e ancora cavalcano) l’ideologia del primato del Mercato sugli Stati.

INFERNET

Sotto quel titolo era pubblicato un estratto del libro di Noam Chomsky con Marc Waterstone, “Le conseguenze del capitalismo” (Ponte alle Grazie).

Chomsky è un autore che in altri tempi si sarebbe letto sul “Manifesto”.

D’altra parte il rovesciamento delle parti è tale che ad essere indicato da Chomsky come grande simbolo del neoliberismo è, fra gli altri, Bill Clinton, il presidente Dem che ha ispirato il Pd.

Clinton, dice Chomsky, “approvò la Legge sulle telecomunicazioni del 1996, consegnando Internet – di proprietà pubblica e per buona parte creato con risorse pubbliche – alla proprietà privata, ulteriormente deregolamentata e inevitabilmente orientata verso la concentrazione monopolistica, contrariamente alle previsioni dei difensori di quella scelta… E’ un tratto costante della vocazione neoliberista alla deregolamentazione e al culto del mercato”.

Dunque cosa significano oggi sinistra e destra? Nulla. Occorrono altre bussole. Si dovrebbe ripartire dalla più importante: l’interesse nazionale.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 10 settembre 2022

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