La nostra economia potrebbe ricominciare a correre e l’Italia potrebbe rinascere. La medicina di cui ha bisogno il nostro Paese la conoscono tutti gli addetti ai lavori.

È molto semplice: l’Italia ha bisogno di un forte choc fiscale, che abbassi drasticamente le tasse, ha bisogno di un robusto stimolo alla crescita che rilanci la nostra economia, l’occupazione, i consumi; ha bisogno di forti investimenti pubblici  nell’innovazione e nelle infrastrutture (per modernizzare le comunicazioni e per mettere in sicurezza strade, ponti, territori) che attivino investimenti privati.

Ha bisogno di fare esattamente quello che ha fatto Trump negli Stati Uniti (ottenendo risultati straordinari) e quello che in questi giorni ha deciso di fare il Giappone, il quale ha varato un pacchetto di stimoli e di aiuto all’economia del valore di 13.200 miliardi di yen (121 miliardi di dollari). È anche uno stimolo alla domanda interna  che intende prevenire crisi provenienti dall’estero, magari dallo scontro sui dazi. Continua

Proprio nei giorni in cui tutti – con fiumi di ipocrisia, di amnesia e di autoassoluzione – ricordano il crollo del Muro di Berlino, arrivando a incredibili assurdità (nella più totale dimenticanza di quanto il comunismo qua da noi abbia impregnato i media, la cultura, la scuola e non solo), esce un nuovo libro di Federico Rampini che squaderna davanti ai nostri occhi ciò che negli Stati Uniti è evidente da tempo (e che l’Europa non vede): l’altro comunismo, quello travestito da capitalismo, il comunismo – per così dire – vincente (informazione da dare a chi ripete da anni che il comunismo è defunto, quindi è inutile parlarne).

Vincente proprio sul fronte che vide crollare il comunismo sovietico: l’economia e la tecnologia. Ma restando un sistema totalitario  e comunista come quelli di sempre.

La nuova superpotenza cinese – con un miliardo e 400 milioni di abitanti – ha ormai raggiunto le dimensioni dell’economia americana e adesso s’impone nel mondo come antagonista globale degli Stati Uniti. Ecco perché Rampini titola il suo libro “La seconda guerra fredda”  (Mondadori), descrivendo lo scontro planetario fra Occidente e Oriente comunista, non più nel bipolarismo Washington/Mosca, ma nel confronto Washington/Pechino. Continua

Giulio Sapelli , fra le poche teste pensanti in circolazione, sostiene che siamo a una svolta storica nell’assetto del mondo: “È iniziata una nuova Guerra fredda che ha per contendenti gli Usa e la potenza eversiva di ciò che rimane dell’ordine internazionale: la potenza militare e demografica della Cina. La questione dei dazi è solo l’inizio… di una guerra su tutti i fronti…  Una guerra che sarà in primo luogo per procura… Il Mediterraneo è già oggi terreno di scontro e di contenimento. La stabilizzazione dei rapporti Usa e Russia diviene sempre più necessaria”.

In questo quadro internazionale – secondo Sapelli – l’America si chiede: la classe politica italiana sarà al suo fianco nella lotta alla Cina? Si tratta di una lotta per il predominio tecnologico e militare planetario e il ruolo che il Mediterraneo , lago atlantico ma altresì stagno dei conflitti franco-anglo-italiani, potrà svolgere sarà essenziale , sorvegliando le porte di accesso all’heartland sia per via marittima con Suez, sia per via terrestre con il Caucaso e la Turchia”. Continua

Condivido le forti perplessità di Matteo Salvini sul Memorandum firmato dall’Italia con la Cina.  

So bene che con Pechino possono esserci opportunità commerciali da cogliere e so pure che i partner europei che oggi ci rimproverano lo stanno facendo più di noi e da tempo. Anche la UE predica bene e poi razzola male. 

Tutto vero. Ma qua c’è in gioco qualcosa di enorme, come gli equilibri geopolitici ed economici del mondo e bisogna andarci cauti, non si può irrompere in un tale campo minato con la naïveté, la superficialità e l’improvvisazione del nostro governo.

Basti citare il problema strategico sollevato dagli Stati Uniti, con grande allarme, quello delle telecomunicazioni: era sempre stato escluso, dall’esecutivo, che nel Memorandum si parlasse di telecomunicazioni e invece sono esplicitamente citate insieme ad altri temi strategici come energia e spazio. Fare il gioco delle tre carte su problemi così gravi dimostra una certa irresponsabilità.

Ma a parte questo enorme problema relativo al 5G e alla sicurezza, che in parte è stato contenuto grazie all’intervento del presidente Mattarella e della Lega, cosa c’è in gioco?

Il fatto è che siamo andati a metterci in mezzo allo scontro epocale fra due colossi: gli Stati Uniti e la Cina. E possiamo romperci le ossa.

Lo scontro è insieme economico e politico e riguarda il futuro del mondo. Come scriveva su “Limes” Francesco Sisci “lasse del potere economico del mondo si sta spostando”. 

Proprio in questi mesi la Cina sta tentando lo storico sorpasso sugli Stati Uniti per diventare il paese con il prodotto interno lordo più grande del pianeta. E secondo certi calcoli, se si paragonano i due paesi a parità di potere d’acquisto, già nel 2017 il Pil cinese è stato superiore a quello americano.

Da qui l’offensiva di Trump sui dazi, per riequilibrare il commercio mondiale in cui la Cina fa la parte del leone perché non garantisce né il libero mercato, né i diritti sociali e civili.

Senza un riequilibrio gli Usa e l’Occidente non saranno più il motore economico (e quindi politico) del globo. 

Non è preoccupante che lo diventi una potenza comunista che calpesta tutti i diritti umani e che ha 1 miliardo e 300 milioni di abitanti?

Del resto, come spiegava Pam Woodall, “la storia ci dice che, ahinoi, solo raramente tali spostamenti di potere economico avvengono in modo morbido”.

Si può davvero credere che gli Usa siano disposti a cedere alla Cina lo scettro del mondo? E l’Italia con chi si schiera?

Entrare nell’orbita economica cinese significa anche entrare nella sua orbita politica. Tanto è vero che già oggi la forza economica cinese condiziona i governi democratici occidentali : basti pensare al totale silenzio che essi osservano, nei rapporti con la Cina, sull’enorme problema dei diritti umani, fino al punto di rifiutarsi di ricevere il Dalai Lama per non “dispiacere” a Pechino. 

Il recente incidente verificatosi al Quirinale tra unfunzionario dell’ambasciata cinese in Italia e una giornalista del “Foglio”  fa capire come i cinesi considerano la libertà di stampa. E soprattutto fa capire che non intendono limitarsi a negarla in Cina, ma pretendono di farlo anche da noi.

Se già oggi, in nome degli affari, glissiamo allegramente sui diritti umani in Cina, domani cederemo anche sulla nostra democrazia se può danneggiare i “buoni rapporti”.

Del resto gli affari li fanno soprattutto i cinesi. Guido Crosetto ha picchiato sul governo: “Gli stessi che hanno fatto un provvedimento che punisce, giustamente e con una logica chiara, chi delocalizza in Romania, ora spingono alla creazione di un fondo pubblico per aiutare chi vuole delocalizzare in Cina. Con la logica politica non riesco a capire”.

Altro che Marco Polo, rischiamo di diventare Marco Pollo e farci spennare pure dai cinesi. Non è pessimismo, è realismo. Se son rose sfioriranno.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 25 marzo 2019

Il fenomeno politico più sorprendente della terza Repubblica (e in ascesa) è la Lega di Matteo Salvini. Alle elezioni del 4 marzo ha conquistato la leadership del centrodestra, poi è diventata il pilastro del nuovo governo (a cui dà la sua forte impronta), miete consensi anche al Centro e al Sud Italia ed è accreditata dai sondaggi nazionali fra il 25 e il 28 per cento.

Eppure il Giornale Collettivo del Pensiero Unico e gli intellettuali ne parlano solo per scagliare anatemi e sberleffi. Irrisione e demonizzazione. Nessuno che rifletta su quello che sta accadendo o che spieghi la clamorosa esplosione di consensi per Salvini, che di certo non è dovuta a qualche campagna mediatica perché – anzi – la sua Lega ha tutti contro: l’establishment, i media e la rete.

Tutti a coprirla di critiche e perfino di fango. Cosa che rende ancora più straordinario il consenso massiccio degli italiani per il leader lombardo. Continua

La “guerra economica” scoppiata fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea è molto di più di una controversia dovuta all’inaudito surplus commerciale tedesco. Molto più di una questione di dazi: è il ritorno della Storia.

Infatti la Germania, che di certo è un grande Paese, ora è tornata ad essere anche un grande problema. Non solo per l’Europa, ma pure per gli Stati Uniti. E Trump ha tutta l’intenzione di vincere il braccio di ferro con la Merkel, ridimensionando i disegni imperiali tedeschi (già la Brexit è andata in questa direzione: la Gran Bretagna è storicamente ostile agli imperi continentali).

La Germania perderà il confronto con gli Usa e potrebbe essere un duro colpo per tutta l’attuale Unione Europea di Maastricht (da non confondere con la Comunità europea originaria). Continua

Non dico che sia scoppiata la pace, ma quantomeno lo Stato islamico è sconfitto e sta ormai per essere sepolto fra Siria e Iraq.

Inoltre la Siria intravede all’orizzonte una possibile normalizzazione che mette fine a una guerra terrificante e ad essere sconfitta da questo esito è la passata amministrazione Usa, quella di Obama e della Clinton che avevano sostenuto la guerra ad Assad.

Sebbene non sia affatto finito il terrorismo islamico nel mondo, dell’eliminazione del Califfato, con i suoi crimini disumani, non si può che rallegrarsi (oltretutto questo dovrebbe anche ridurre i flussi migratori verso l’Europa).

Gli addetti ai “livori” dei giornali italiani sono troppo impegnati, da due anni, a spargere odio e veleni contro Trump e contro Putin per accorgersi che – nel frattempo – il presidente americano e quello russo, insieme con il leader cinese Xi, stanno cercando di dare una sistemata a un pianeta dissestato, allontanando e fermando altre guerre e conflitti. Continua

Nell’ultimo numero – appena uscito – di Limes, l’autorevole rivista di geopolitica dello stesso gruppo editoriale di Repubblica ed Espresso, viene pubblicato un saggio del professor Germano Dottori, che si occupa di Studi strategici presso la Luiss, è consigliere scientifico di Limes, membro di altri importanti centri studi ed è stato consulente presso commissioni della Camera e del Senato in materia di affari esteri e difesa.

Dunque il saggio di Dottori – intitolato “Perché ci serve il Vaticano” – ricostruisce lo stretto e decisivo legame fra la politica estera della Stato italiano e la presenza a Roma del papato che ha un’influenza planetaria. Un rapporto anche conflittuale. Continua

Questa Unione europea non c’entra niente con l’Europa dei popoli. E’ solo una “Grande Germania” che domina a spese di tutti gli altri stati, ormai sudditi.

La Germania afferma il suo interesse geopolitico con l’unica “arma” che può usare – la moneta e la politica economica deflattiva – dopo che (con la sconfitta bellica del III Reich) ha rinunciato alla forza militare, a una politica estera e a un’identità nazionale. Proprio nella moneta ha posto la sua identità.

Macron propone alla Francia di fare la “spalla” di Berlino (di fatto è la strategia di Hollande), sperando così di poter lucrare rendite di posizione. L’Italia è il solito vaso di coccio, una terra di conquista di potenze straniere come accade dal XV secolo.

Abbiamo una classe dirigente che non ha idea dei progetti geopolitici in campo e non ha una strategia di difesa dell’interesse nazionale. E’ il modo migliore per venire spolpati. Ma se non si capisce il presente non si ha una chance di sopravvivenza.

La crisi in cui ci troviamo deriva da due fallimenti ideologici e imperiali (come fallì il sistema comunista e la sua ideologia). I due fallimenti suddetti rimandano al “partito di Davos” e al “partito della troika”, che rappresentano il tempio delle élite e delle tecnocrazie dominanti. Continua

Giorni fa “Der Spiegel” ha riferito le parole di papa Bergoglio ad alcuni fedelissimi: “Non è escluso che io passerò alla storia come colui che ha diviso la Chiesa Cattolica”. E’ per questo che il suo amico Eugenio Scalfari lo considera il più grande “rivoluzionario”.

Tempo fa una copertina di “Newsweek” si chiedeva se il papa è cattolico (“Is the pope catholic?”). E un’altra dello “Spectator” lo rappresentava su una ruspa demolitrice col titolo: “Pope vs Church” (il Papa contro la Chiesa). Coglievano un sentire diffuso.

In effetti a quattro anni esatti dalla “rinuncia” di Benedetto XVI e dall’irrompere di Bergoglio, la situazione della Chiesa cattolica si è fatta esplosiva, forse davvero al limite di uno scisma, più catastrofico di quello del tempo di Lutero (che peraltro oggi viene riabilitato nella chiesa bergogliana). Continua