Dopo giorni di attacchi giornalistici e politici al governatore lombardo Fontana, venerdì è arrivata una doccia fredda per i suoi critici. Si tratta dell’importante dichiarazione del procuratore aggiunto di Bergamo, Maria Cristina Rota, la quale – a proposito della mancata chiusura dei comuni bergamaschi di Alzano Lombardo e Nembro (ai primi di marzo) – ha dichiarato che l’istituzione di una zona rossa “da quello che ci risulta  è una decisione del governo”.

Curiosamente ieri, su molti giornali, una dichiarazione così importante ha avuto poco (o nessun) rilievo. Eppure sono parole molto significative perché coincidono con quanto ha sempre sostenuto il governatore lombardo Fontana (“era pacifico che fosse una decisione che spettava al Governo, visto che aveva già inviato l’esercito in quelle zone”). Continua

Quando Massimo D’Alema – da premier italiano – incontrò Giovanni Paolo II, nel 1999, il papa gli disse: “Ho combattuto tutta la vita contro il comunismo, ma ora che il comunismo è caduto mi domando chi difenderà i poveri”. Wojtyla sapeva bene che di certo non sarebbero stati i comunisti (anche se post o ex).

Costoro infatti – comunque trasformati o riciclati – amano tanto i poveri da moltiplicarli ogni volta che vanno al potere. Lo dimostra la storia dei paesi dell’Est e pure la nostra degli ultimi 25 anni. Con una sola (apparente) eccezione: la Cina (dirò alla fine perché apparente).

Così D’Alema ora torna in campo con un libro e un’ennesima trasformazione: ora simpatizza per la Cina di Xi Jinping. È un ritorno al rosso antico da compagno D’AleMao? Il titolo del suo libro è proprio una frase di Mao: “Grande è la confusione sotto il cielo” (Donzelli). Continua

“La situazione politica in Italia è grave, ma non seria”, diceva Ennio Flaiano. Tanto più possiamo dirlo in questi mesi, sospesi come siamo fra la gravità della pandemia e lo spettacolo surreale offerto da questa classe di governo.

Forse per questo uno degli autori più citati – fra gli osservatori non conformisti – a commento delle cronache è stato Trilussa, il famoso poeta satirico romano di cui, fra l’altro, ricorre quest’anno il 70° anniversario della morte. Gli spunti di cronaca sono stati tanti.

Il Capo del governo, Giuseppe Conte, dopo essersi specchiato più volte in Winston Churchill e nell’epica dimensione del grande statista durante la Seconda guerra mondiale, ha detto e ripetuto a reti unificate, con enfasi: “Stiamo scrivendo una pagina di Storia”.

Così Marcello Veneziani ha demolito quell’autoesaltazione evocando per lui non Churchill, ma “la lumachella della vanagloria” – appunto – di Trilussa: Continua

Ad investire Maurizio Landini, leader della Cgil, come nuova stella polare del firmamento della Sinistra (per i prossimi mesi) è stato, domenica scorsa, Eugenio Scalfari.

Non si sa quanto possa portargli fortuna, ma in effetti c’è un’operazione politica in corso su Landini nei Palazzi del potere e dopo ne vedremo il perché (Scalfari deve averla orecchiata e ci ha messo il cappello sopra, come suo solito, anticipando tutti).

Il suo lancio è concomitante all’appannamento dell’ultimo mito politico scalfariano: Giuseppe Conte.

L’EDITORIALE DADAISTA

Lo si evince proprio da quest’ultimo editoriale scalfariano che è ormai un divertente genere letterario simil-dadaista, per le parole in libertà, ma che lascia sempre trapelare gli umori dei Palazzi. Continua

Nel 1996, quasi 25 anni fa, Alberto Pasolini Zanelli pubblicò un prezioso pamphlet dal titolo “Il genocidio dimenticato (la Cina da Mao a Deng)”, edito da Ideazione.

Vittorio Feltri, nella sua prefazione (entusiasta del talento dell’autore), confessava che – a differenza di tanti innamorati del regime di Pechino – lui non aveva nessuna voglia di oltrepassare la Grande Muraglia, “e dunque” – scriveva testualmente – “addio Cina, che sarà anche vicina, ma spererei non esagerasse e non ci contagiasse”.

Alla fine siamo stati affondati proprio da un “contagio” arrivato dalla Cina. Ora ci ritroviamo un Paese ribaltato dalla pandemia, con migliaia di morti, con un’economia allo sfascio come nel dopoguerra, con una democrazia boccheggiante e perfino impediti nella nostra libertà di movimento personale e nei nostri rapporti umani. Tutto il mondo è in questa stessa situazione, ma l’Italia è fra i Paesi che stanno peggio. Continua

I poeti hanno rappresentato splendidamente le epoche storiche, i sentimenti, la natura. La poesia gozzaniana ha reso liriche perfino le piccole “cose di pessimo gusto”. Addirittura il pomodoro ha trovato un grande cantore, Pablo Neruda. Così le stagioni della terra e le stagioni della vita.

Ma viene da chiedersi quale poeta potrebbe raccontare “questa” primaverastrana, su cui grava l’alone di morte della pandemia, questi alberi in fiore nello scenario spettrale delle nostre belle città deserte. Chi potrebbe cantare questa maledetta primavera, così anomala da privarci, stavolta, della sua consueta “joie de vivre” e da ossessionarci con ansie di morte?

C’è un poeta che ha colto la bellezza e la segreta tristezza che è da sempre presente nella primavera, che poi è la malinconia della giovinezza: Gerard Manley Hopkins. Più di tutti egli ha visto la ferita che la bellezza – con la vita – porta sempre in sé (oggi più che mai): la sua finitudine, la sua mortalità. Continua

“Nell’intera storia dell’Italia unita, l’unico choc macroeconomico più grave di quello che si prospetta oggi si è avuto con la Seconda guerra mondiale”. Così ha scritto in un tweet di questi giorni Alberto Bagnaiindicando poi le statistiche reperibili sul sito della Banca d’Italia.

Ma dopo le devastazioni di quella guerra persa, l’Italia realizzò una rinascitache fece gridare al “miracolo” il mondo intero. Infatti passò alla storia come “il miracolo economico italiano”.

Prima della guerra eravamo un paese poco sviluppato, perlopiù analfabeta e agricolo, poi distrutto dai bombardamenti: in pochissimi anni diventammo una delle principali potenze industriali del mondo, conquistando la prosperità e la libertà.

Come fu possibile? Scoprirlo ci sarebbe oggi necessario per ripetere il “miracolo”. Continua

Come i profeti biblici e i grandi papi della storia, Benedetto XVI è tanto odiato dai poteri mondani quanto è amato dal semplice popolo cattolico. E ogni volta che, dal suo eremo, fa risuonare la verità, illumina l’oscura situazione attuale dell’umanità e della Chiesa. Attirandosi addosso furibondi attacchi – iniziati specialmente dalla sua elezione – che arrivano allo stravolgimento delle sue parole e al linciaggio morale.

In queste ore infatti ha scatenato polemiche l’anticipazione della biografia di Ratzinger, scritta da Peter Seewald, che sta uscendo in Germania col titolo “Benedetto XVI: Ein Leben” (Benedetto XVI: una vita), libro che apparirà in italiano nell’autunno.

Nel volume il papa emerito risponde ad alcune domande e spiega, per esempio, quella drammatica ed enigmatica frase pronunciata nell’omelia di inizio del suo pontificato: “Pregate per me, perché io non fugga per paura davanti ai lupi”. Continua

Sabato, mentre scrivevo questo articolo, ho letto l’omelia del mattino di Bergoglio, nella quale – secondo diversi commentatori – sovrapponeva Gesù a Conte e – allusivamente – confondeva quelli che abbandonarono Gesù con coloro che vorrebbero sfiduciare Conte. Se è così è desolante.

D’altra parte la politico sembra occupare buona parte dell’orizzonte di Bergoglio e lunedì lo ha indotto perfino a sconfessare pubblicamente la Cei e la segreteria di Stato vaticana per sostenere Conte in un momento per lui critico. In questo momento sembra avere come riferimenti politici  Giuseppe Conte (in Italia) e la Cina (nello scenario globale). Il perché è un mistero.

In questo articolo riporto una frase bella e cristiana pronunciata una volta da papa Bergoglio. Per ricordare a lui chi dovrebbe seguire e per ricordare a noi come dovrebbe essere un vero papa. E come non è.

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Nel corso della pandemia lo slogan “andrà tutto bene” è stato un’efficace espressione consolatoria subito adottata dalla macchina propagandisticagovernativa per rassicurare un paese terrorizzato e per indurre gli italiani a stringersi a colui che “guida e conduce”, suggerendo (anche a suon di multe salate) un’obbediente sottomissione a Giuseppi Churchill.

Naturalmente era uno slogan scioccamente ottimistico e si è rivelato ingannevole, non solo per la dilettantesca incapacità mostrata dal governo. Immaginiamo come può suonare alle orecchie di chi ha perduto o sta perdendo delle persone care o come può apparire beffardo oggi a milioni di persone che per il lockdown hanno perso il lavoro o la propria attività economica. Continua

Sta naufragando rovinosamente il sogno di Giuseppe Conte e dei suoi strateghi: usare l’emergenza Covid-19 per dare, allo sconosciuto avvocato foggiano, un’aura da statista attorno alla quale costruire un nuovo partitodi centrosinista e (pseudo)cattolico.

Anzitutto perché da domenica sera è cambiata l’atmosfera: dilagano il malcontento e la rabbia. Si assiste a una sollevazione generale per l’incompetenza del governo che non ha visione, non ha un piano e, invece di varare la Fase 2, sprofonda nelle sabbie mobili di norme assurde. I danni economici e sociali sono giganteschi e ogni giorno si aggravano.

Ma, in secondo luogo, perché Conte, con il pesante schiaffo dato ai cattolici(ancora niente messe, ma solo funerali e con meno di 15 persone, possibilmente all’aperto), è riuscito a inimicarsi perfino l’unico vero sponsor di cui aveva l’appoggio: la gerarchia cattolica e vaticana (da non confondere col popolo cattolico che vota come vuole e – com’è noto – all’opposto di Bergoglio e della Cei).

Eppure da sempre la Cei – su ordine del papa argentino, mosso dalla precisa intenzione di attaccare la Lega di Salvini – era stata più che collaborativa: servile. Continua