Ci sono molte drammatiche analogie fra i giorni che stiamo vivendo e quelli che precedettero la Prima guerra mondiale, da cui scaturirono i totalitarismi del Novecento e la Seconda guerra mondiale, con i fantasmi che ancora oggi agitano il mondo.

Anche cento anni fa si poteva intuire quale abisso stava per spalancarsi. Il 29 luglio 1914, Winston Churchill scriveva a sua moglie: “Ogni cosa tende alla catastrofe e al collasso (come se) un’ondata di follia avesse colpito la mente del mondo cristiano”.

E il ministro degli esteri inglese, Edward Grey, il 3 agosto 1914, mentre si stava decidendo l’entrata in guerra, affermò: “Le luci si stanno spegnendo in tutta l’Europa. Dubito che le vedremo accendersi di nuovo nel corso della nostra vita”.

Fu una carneficina. Il papa Benedetto XV continuò a implorare la fine dell’“inutile strage”. Ma nessuno lo ascoltò. Come oggi i potenti non ascoltano l’identico grido di papa Francesco, anche se rischiamo una terza guerra mondiale e l’apocalisse nucleare. Continua

Il nono anniversario della sua elezione – ieri – è stato per papa Francesco il più triste. Addirittura angoscioso. Perché dopo aver lanciato l’allarme per anni sulla terza guerra mondiale che si stava combattendo “a capitoli”, ora si ritrova un mondo che rischia di precipitare definitivamente in una guerra planetaria. Che sarebbe l’ultima…

E incredibilmente – dopo che nessuno ha ascoltato i suoi allarmi, compresi quelli contro la corsa agli armamenti degli Stati – c’è chi afferma, come il quotidiano Le Monde, che la sua condanna della guerra in Ucraina non è come a Parigi si vorrebbe.

Eppure è impossibile equivocare i suoi interventi. Nessuno in queste settimane ha pronunciato parole così forti di condanna del conflitto, dell’odio, e di pietà e solidarietà per le vittime.

Ieri all’Angelus ancora più accorato ha detto:

Fratelli e sorelle, abbiamo appena pregato la Vergine Maria. Questa settimana la città che ne porta il nome, Mariupol, è diventata una città martire della guerra straziante che sta devastando l’Ucraina. Davanti alla barbarie dell’uccisione di bambini, di innocenti e di civili inerminon ci sono ragioni strategiche che tengano: c’è solo da cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri. Col dolore nel cuore unisco la mia voce a quella della gente comune, che implora la fine della guerra. In nome di Dio, si ascolti il grido di chi soffre e si ponga fine ai bombardamenti e agli attacchi! Si punti veramente e decisamente sul negoziato, e i corridoi umanitari siano effettivi e sicuri. In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro!”

Poi ha esortato di nuovo “all’accoglienza dei tanti rifugiati, nei quali è presente Cristo”, ha ringraziato “per la grande rete di solidarietà che si è formata” e ha chiesto a tutta la Chiesa di intensificare “i momenti di preghiera per la pace” perché “Dio è solo Dio della pace, non è Dio della guerra, e chi appoggia la violenza ne profana il nome. Ora preghiamo in silenzio per chi soffre e perché Dio converta i cuori a una ferma volontà di pace”. Continua

Ieri don Julian Carron si è dimesso dalla presidenza della Fraternità diComunione e Liberazione. È stata una decisione inattesa perché il Decreto della Santa Sede sulle “Associazioni di fedeli”, dell’11 settembre scorso, dava due anni di tempo (quindi fino al settembre 2023) per rinnovare gli incarichi di governo dei Movimenti.

Tale Decreto stabilisce “un periodo massimo di dieci anni” per questi incarichi e siccome Carron era presidente dalla morte di don Giussani (2005) non poteva più essere rieletto.

La Santa Sede ha voluto definire questi “limiti ai mandati di governo” in tutti i movimenti perché – si legge nella Nota esplicativa vaticana – “la mancanza” di tali limiti “non di rado favorisce, in chi è chiamato a governare, forme di appropriazione del carisma, personalismi, accentramento delle funzioni nonché espressioni di autoreferenzialità”.

Papa Bergoglio, in un recente incontro con i movimenti, ha aggiunto: “cadiamo nella trappola della slealtà quando ci presentiamo agli altri come gli unici interpreti del carisma, gli unici eredi della nostra associazione o movimento”. Continua

LA STORIA SONO LORO

Siamo al 25 aprile e “Repubblica” (11/4) intervista lo storico Giovanni De Luna, autore di una storia del Partito d’Azione. Nel titolo esalta quella formazione politica la cui classe dirigente – dice il quotidiano – fu “capace di ricostruire il Paese”. Il sommario ribadisce che “furono capaci di risuscitare una nazione in macerie”.  Le precise parole dello storico sono queste: “Seppero trasformarsi da intellettuali a combattenti e poi furono capaci di guidare la ricostruzione”.

Ma è davvero così? Il Partito d’Azione ebbe la presidenza del Consiglio con Parri per soli 5 mesi (dal 21 giugno 1945 al 10 dicembre 1945) in un governo largamente dominato dai grandi partiti popolari: Dc, Pci e Psi.

Il PdA fu del tutto marginale nel Paese e visse lo spazio di un mattino: alle elezioni del 1946 prese l’1,45 per cento. Nel 1947 si sciolse e alle decisive elezioni del 18 aprile 1948 non c’era già più, né è mai rinato.

Fu certamente significativo il contributo dell’azionismo alla Resistenza. Questo va giustamente valorizzato. Ma dire che guidò la ricostruzione, che fu “capace di ricostruire il Paese”, è obiettivamente surreale.

 

 

ROGHI

Il ministro Franceschini annuncia la fine della censura cinematografica, che però era già una cosa del passato.

Giulio Meotti osserva: “Via la censura di stato. Ora ci sono la censura e l’autodafé politicamente corretti. Il ministro Franceschini dice che ‘l’arte torna libera’. Ma in tutta la cultura occidentale si è imposto un vero regime su quel che si può dire o scrivere. Tolgono persino Peter Pan dalle biblioteche pubbliche”. Continua

I media che hanno celebrato, con centinaia di articoli, Carola Rackete come grande filantropa e benemerita dell’umanità, arrivando addirittura a proporla per il premio Nobel, neanche si sono accorti dell’improvvisa scomparsa, in queste ore, di Paola Bonzi. Perlopiù non sanno nemmeno chi era.

E’ ovvio, perché questa donna umile e cordiale, che aveva perso la vista all’età di venti anni, in 35 anni ha salvato migliaia di vite umane, quelle dei bambini non ancora nati (e le loro mamme), e non faceva le battaglia politiche che piacciono ai padroni del vapore.

Paola Bonzi ha donato tutta la sua vita ai più dimenticati. Instancabilmente, dal 1984 a ieri, ha aiutato 22.702 mamme in difficoltà, in procinto di abortire (o tentate dall’aborto), a superare i problemi e a far nascere i loro bimbi. Così, grazie all’aiuto del suo Centro di aiuto alla vita della Clinica Mangiagalli di Milano, sono nati 22.702 bambini, alcuni dei quali oggi sono trentenni. Continua

Si può criticare Matteo Salvini come tutti i politici. Ma oggi siamo davanti a una demonizzazione della persona mai vista prima. Salvini sembra l’ossessione collettiva delle élite. E’ una fissazione, specie sui media. Il partito della demonizzazione pare tarantolato dalla volontà di azzopparlo e scongiurare la vittoria della Lega.

Però quello che più sconcerta è che tale “partito della demonizzazione” (in certi casi si può parlare di “partito dell’odio” ) abbia individuato il suo leader morale e politico in un vescovo che dovrebbe occuparsi delle cose del Cielo, un vescovo che non è neanche italiano ed è a capo di uno Stato straniero, ovvero Giorgio Mario Bergoglio. Continua

Sul sito della Treccani è finito il micidiale soprannome che Beppe Grillo affibbiò a Mario MontiRigor Montis . L’“uomo del rigore” europeo-teutonico applicò all’Italia le ricette di Bruxelles e fu una mazzata pazzesca per il Paese.

Crollo del pil a meno 2,5 per cento e lunga recessione, crollo della produzione industriale, crescita della disoccupazione ed esplosione del debito pubblico (il rapporto debito/pil dal 119 per cento schizzò al 126,5 per cento) .

Con questi “successi” alle spalle Monti, pochi giorni fa, dalla Gruber, attaccava Salvini dicendo che “senza ottenere risultati i ducetti perdono voti”.

Appena gliene danno l’occasione il senatore a vita sale in cattedra e – con l’allegra spensieratezza che lo contraddistingue – annuncia all’Italia catastrofi orrende se non si darà ascolto alle sue favolose idee, come, per esempio, una bella tassa patrimoniale per spennare ancora di più i contribuenti. Ma questa è la sua idea di dieci giorni fa.

Nelle ultime ore, improvvisatosi profeta, ha preconizzato addirittura la guerra se alle prossime elezioni europee dovessero vincere i Salvini.

Il tutto per esorcizzare quel leader leghista che – secondo gli illuminati come Monti (e come Bergoglio) – sarebbe colui che alimenta la paura  e che investe sulla paura.

Questa della guerra (mondiale? Nucleare?) sembrerebbe solo una battuta mal riuscita. Ma Monti l’ha argomentata davvero come fosse una cosa seria: se vinceranno i cosiddetti sovranisti “effettivamentecambieranno le politiche europee  e potrà aggregarsi l’unico obiettivo comune dei paesi sovranisti, che è ridurre di molto i poteri e il ruolo della Unione europea . Questo è lo Scenario che considero il più sfavorevole per tutti. Perché supponendo che vadano alla grande ci sarà prima questa riduzione del ruolo della Unione europeae poi quando questo ruolo sarà stato eliminato, distrutto e raso al suolo, tornerà la guerra in Europa “.

Ha proseguito che in questo caso “tutte le bandiere nazionali una volta che saranno state issate per guidare una crociata anti Bruxelles, anti Unione europea” si rivolgeranno “l’una contro l’altra”.

Se volessimo discuterne seriamente potremmo ricordare a Monti che la riduzione dei poteri dell’Unione Europea non è affatto una sciagura. 

Anche se arrivassimo fino all’abolizione del Trattato di Maastricht (magari!) torneremmo alla Comunità economica europea che abbiamo avuto dal Trattato di Roma (1957) fino – appunto – a Maastricht (1992), quella Cee che accompagnò il più splendido periodo di prosperità della nostra storia e che rispettava le sovranità nazionali 

Che poi – nel nostro caso – significa la sovranità proclamata dall’articolo 1 della nostra Costituzione repubblicana (che il trattato di Maastricht contraddice in molti punti fondamentali).

Se ogni popolo torna pienamente sovrano nel suo Stato non significa affatto che farà la guerra agli altri popoli europei: è una baggianata contraddetta dalla storia europea dal 1945 al 1992 .

Ma è contraddetta anche dalla storia precedente, nella quale a scatenare le guerre non furono le nazioni sovrane e democratiche , ma proprio le pretese egemoniche e imperiali che si scatenarono contro la sovranità delle nazioni 

Qui il problema riguarda anzitutto Francia e Germania  infatti sono stati prima Napoleone e poi Hitler a pretendere di “unificare” l’Europa schiacciando con le armi le sovranità nazionali.

Giovanni Paolo II – che da polacco ben conosceva gli imperialismi totalitari – nel discorso all’Onu del 5 ottobre 1995 spiegò che il Secondo conflitto mondiale “venne combattuto proprio a causa di violazioni dei diritti delle nazioni . Molte di esse hanno tremendamente sofferto per la sola ragione di essere considerate ‘altre’. Crimini terribili furono commessi in nome di dottrine infauste, che predicavano l’‘inferiorità’ di alcune nazioni e culture ”.

Giovanni Paolo II, vero padre dell’Europa libera, ha sempre propugnato un’Europa del tutto diversa dalla UE: un’Europa dei popoli dall’Atlantico agli Urali, un’Europa che riconosce le proprie radici cristiane e umanistiche, perché ha un’identità e non vuole diventare l’Eurabia o il dominio della tecnocrazia di Bruxelles .

L’Europa di Monti invece è quella della Bonino e di Bergoglio , è l’Europa della tecnocrazia, del migrazionismo di massa e del politicamente corretto, l’Europa di Maastricht che impoverisce i popoli e ne schiaccia le economie, le identità e le sovranità .

Dicevo che l’Europa di sovranisti, come sono (da noi) Lega e Fratelli d’Italia, sembra invece ispirarsi proprio a Giovanni Paolo II . E’ lui che nel suo storico pellegrinaggio in Polonia, 1979, affermò che “non si può comprendere l’uomo fuori da questa comunità che è la nazione” .  

Per questo incitò i giovani polacchi ad amare la cultura e la storia della propria nazione (“Restate fedeli a questo patrimonio! Conservate e accrescete questo patrimonio, trasmettetelo alle generazioni future”). E parlando alle vittime dei lager nazistiaffermò che “la fedeltà all’identità nazionale possiede anche un valore religioso”.

Nel suo storico discorso all’Onu del 5 ottobre 1995 ricordò che l’Onu  era nata proprio con “l’impegno morale di difendere ogni nazione e cultura da aggressioni ingiuste e violente”. 

Così il Papa mise in guardia dalla globalizzazione  che allora stava sviluppandosi e che, appiattendo tutto, suscitava nei popoli “un bisogno prorompente di identità e di sopravvivenza , una sorta di contrappeso alle tendenze omologanti. E’ un dato che non va sottovalutato, quasi fosse semplice residuo del passato” .

Oggi le parole “nazione” e “patria” vengono demonizzate dagli euristi, ma proprio papa Wojtyla in quell’occasione spiegò che il “termine ‘nazione’ , evoca il ‘nascere’, mentre, additato col termine ‘patria’ (fatherland), richiama la realtà della stessa famiglia” ed è “su questo fondamento antropologico che poggiano anche i ‘diritti delle nazioni’ , che altro non sono se non i ‘diritti umani’ colti a questo specifico livello della vita comunitaria” .

Concluse: “Presupposto degli altri diritti di una nazione è certamente il suo diritto all’esistenza: nessuno, dunque – né uno Stato, né un’altra nazione, né un’organizzazione internazionale – è mai legittimato a ritenere che una singola nazione non sia degna di esistere”.

Si possono realizzare forme di aggregazione giuridica tra differenti Stati , ma è necessario – aggiunse – “che ciò avvenga inun clima di vera libertà , garantita dall’esercizio dell’autodeterminazione dei popoli.

Quello che è accaduto dopo Maastricht, con l’Unione Europea, va in direzione opposta. E’ di nuovo una tentazione imperiale, ma realizzata con la moneta anziché con i carri armati

Infatti è costato ai popoli (specialmente all’Italia) quanto una guerra perduta . Proprio i disastrosi risultati del governo Monti – che applicò all’Italia le ricette di Bruxelles – dovrebbero far riflettere.

Antonio Socci

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Da “Libero”, 12 maggio 2019 

 

Molto si è scritto in questi giorni di Roberto Formigoni, ma si è dimenticato di ricordare la storia da cui è emerso. 

Comunione e Liberazione irrompe sulla scena attorno al 1969, quando la Chiesa stava precipitando in una crisi spaventosa e l’Italia era letteralmentetravolta dall’estremismo ideologico marxista.

Soprattutto nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche e nei giornali il pensiero unico veniva imposto con soffocante violenza verbale e anche fisica. Di lì a poco esploderà perfino il terrorismo.

E’ in questo contesto che fiorisce – attorno a don Luigi Giussani– una travolgente esperienza di cattolicesimo vissuto che affascina migliaia di giovani. 

Recentemente, in un volume postumo del card. Giacomo Biffi, è stata pubblicata una sua lettera del 15 dicembre 1977 a una suora carmelitana di clausura dove il monsignore spiegava cosa stava accadendo: 

(quelli di CL) sono ragazzi convinti di avere il diritto di fare un’esperienza di vita associata alla luce della loro fede, nel pieno rispetto dei diritti altrui, che non hanno mai tentato di violare una sola volta. In forza di questo diritto, essi costituiscono all’interno dell’università l’unico gruppo che – con la sua sola esistenza – contesta la cultura egemone che ritiene di essere l’unica. Perciò sono insopportabili, perciò sono picchiati a morte. All’infuori di quello di esistere, non hanno mai compiuto nessuna provocazione; ma è la loro esistenza a essere provocatoria. In una società ormai arresa e impaziente di rendere omaggio al nuovo ‘principe’, sono gli unici” aggiungeva Biffi “a ritenere che la salvezza dell’uomo arrivi da un’altra parte e la sua promozione vada cercata in un’altra direzione. Don Giussani – che non si è mai sognato di occuparsi di politica – da molte settimane vive randagio, dormendo sempre in posti diversi, perché la polizia l’ha avvisato che esiste un progetto preciso di fargli la pelle. Quando gliela faranno, si troverà modo di dimostrare che è stata colpa sua. Del resto, non è CL in gioco, è il fatto cristiano.

Era così vero che – una volta eletto papa Giovanni Paolo II – proprio CL costituì, per il nuovo pontefice, il punto di forza per una rifioritura straordinaria della Chiesa Cattolica.

I ciellini – prima maltrattati dentro il mondo clericale postconciliare che si arrendeva al progressismo – ora avevano piena cittadinanza nella Chiesa e pure la DC attinse a queste inattese e fresche energieFormigoni fu l’emblema di quella rinascitache poi con Forza Italia diventò esperienza di governoin Lombardia.

La cosa che oggi più colpisce è la totale sparizione di CL. Sia il crollo numerico e di presenzafra i giovani, sia la sparizionedal dibattito pubblico dove l’originalità della sua posizione culturale e sociale destava grande interesse anche nel mondo laico (cosa rara per dei cattolici). 

E’ accaduto tutto con la morte di don Giussani nel 2005 e con l’arrivo di don Julian CarronCL ha perso il suo carisma e la sua originalità ed è appassita.

Un fenomeno che fa parte della desertificazione del mondo cattolicocompiutasi in questi anni del pontificato bergogliano, nei quali gli unici segni di vita – le Sentinelle in piedio i Family day– sono stati mal sopportati dal Vaticano.

Papa Bergoglio infatti fin dal 2013 ha voluto la cancellazione della presenza sociale e politica dei cattolici che aveva come simbolo la Cei del card. Ruini

Nel quinquennio del PDil Vaticano non voleva disturbare il manovratore, perché il PD, a cominciare dal governo Letta, aveva deciso di seguire papa Bergoglio nella sua unica vera battaglia politica: le frontiere aperte ai migranti. Così sono arrivati in 600 mila e il Pd si è suicidato.

Una volta andata al governo la Lega di Matteo Salvini, nel2018, Bergoglio ha improvvisamente rovesciato le sue posizionipretendendo che i cattolici tornino in politica con due bandiere: i migrantie l’entusiasmo acritico per l’Unione europea. Paradossalmente chi è più in sintonia col programma del papa argentino è la radicale Emma Bonino.

Invece di occuparsi della rinascita della presenza cattolica nella società e fra i giovani, dove non ce n’è più traccia, papa Bergoglio e la Cei si lanciano in politica dove di cattolici ce ne sono tantissimi.

Basta considerare i vertici dei partiti e delle istituzioni. Sono cattolici sia il presidente della Repubblica Mattarellache la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati

Sono cattolici sia il presidente del Consiglio Conteche i suoi due vice, Matteo Salvini  eLuigi Di Maio. Sono cattolici gli altri due leader del centrodestra, Berlusconi  eMeloni, come è cattolico Matteo Renzi  (e altri leader del Pd).

Forse non ci sono mai stati così tanti cattolici ai vertici della politica come oggi. Dunque tutta la mobilitazione del Vaticano della Cei ha una sola spiegazione: combattere Salvini.

E’ poi curioso che in questo dibattito su cattolici e politica (anche sui giornali laici) non venga mai considerata la vicenda storica della DC a cui l’Italia deve la rinascita oltreché la libertà.

Nel mese scorso molte celebrazioni, sui media, ha avuto don Luigi Sturzo, per i cento anni dalla fondazione del Partito popolare. Ed è curioso che esaltino Sturzo – che era un ultra liberista – anche cattolici che “in teoria” si dicono progressisti (d’altronde, nella pratica, è la sinistra che ha assecondato in questi anni la peggiore globalizzazione mercatista).

Si dimentica invece la Dc e il connotato keynesiano della politica DC, quella che dalla Costituente di La Pira a Fanfani, Moro ed Enrico Mattei, ha messo al centro la “piena occupazione” e – anche attraverso l’intervento dello Stato (si pensi all’Eni) – portò l’Italia, un tempo sottosviluppata, al quarto posto fra le potenze industriali

Paradossalmente oggi questa impostazione di “sinistra keynesiana”, totalmente avversata dalla UE e dal Trattato di Maastricht, è reperibile nella Lega di Salvini(che si avvicina peraltro alle percentuali di consenso della Dc). 

Così tutto appare rovesciato. Le coordinate destra/sinistra non dicono più nulla. Tutto è cambiato.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 24 febbraio 2019

E’ un paradosso. Mentre Matteo Salvini riempie Piazza delpopolo a Roma, ricordando la festa dell’Immacolata, citando De Gasperi e Giovanni Paolo II e, anzi, facendone il punto di riferimento ideale,la burocrazia ecclesiastica della Cei organizza una crociata politica propriocontro la Lega di Salvini, tanto che, sempre ieri, il “Fatto quotidiano” titolava in prima pagina: “I vescovi tornano a far politica”. E nell’interno: “Il progetto diBassetti: così la Chiesa prepara il ritorno in politica”.

In realtà nella storia del cattolicesimo politico non sono mai stati i vescovi a prendere l’iniziativa partitica, quindi più che un ritorno sarebbe un’assoluta (e catastrofica) novità.

L’articolista del “Fatto” spiega che il card. Bassetti ha messo all’ordine del giorno del consiglio permanente della Cei di gennaio la nascita di uno strumento di intervento politico: “così la Chiesa si organizza per dare un’opposizione all’Italia”.

E’ un paradosso perché la Lega si sta candidando a rappresentare l’asse della politica italiana come una sorta di DC del terzo millennio (e non a caso i sondaggi la collocano sulle percentuali della DC).

Ma l’establishment ecclesiastico si contrappone proprio a questa Lega con un manifesto politico sull’Europa (e sull’emigrazione) che ricalca gli argomenti di “Più Europa”, di Emma Bonino, e spazza via i tradizionali temi cattolici.

Resta da capire e da vedere se veramente l’attivismo del card. Bassetti, che telefona continuamente a tutti i vescovi per mobilitarli, sfocerà in qualche iniziativa politica che possa poi trasformarsi in lista, alle elezioni Europee, oppure se sceglieranno di non farsi contare, per evitare pessime figure e anche per evitare contestazioni relative al Concordato del 1984, dove Chiesa e Stato si riconoscono indipendenza e sovranità, ciascuno nel proprio ordine, e non ammettono interferenze dirette.

Per evitare conflitti istituzionali di questo genere tutto l’agitarsi convulso dei vescovi, alla fine, potrebbe servire semplicemente a cercare di smuovere le parrocchie a favore del PD o del possibile, eventuale, partito di Matteo Renzi.

Il quale peraltro ha messo i semi del suo possibile partito con i cosiddetti “comitati civici” che – già dal nome – evocano l’iniziativa di Luigi Gedda e dell’Azione Cattolica nelle elezioni del 1948.

A dire il vero non è chiaro quale sia l’analogia fra quelle straordinarie e storiche elezioni e la situazione attuale dell’Italia.  

A quel tempo era c’era una questione di vita o di morte, sia per l’Italia che per la Chiesa. I “comitati civici” si mobilitarono a favore della Dc contro il comunismo che era arrivato, con le sue armare, fino a Trieste e che, il 18 aprile 1948, rischiava di prevalere nelle urne in tutta Italia. Fu una difesa della democrazia e della civiltà cristiana, una battaglia a protezione della Chiesa e della democrazia italiana.

Nel caso odierno invece la Cei e le associazioni cattoliche ufficiali si schierano in difesa di un’Europa laicista che ha rinnegato le “radici cristiane”, mentre Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – a suo tempo – criticarono duramente questa Europa tecnocratica per il suo laicismo e per il dilagare di una mentalità e di politiche nichiliste.

L’iniziativa del presidente della Cei peraltro è non solo un rinnegamento dei precedenti pontificati, ma è anche un rinnegamento del Concilio Vaticano II che ha proclamato la responsabilità del laicato cattolico nel campo della politica.

E’ anche un colossale rovesciamento di posizioni (non dichiarato) nei confronti della cosiddetta “scelta religiosa” che l’Azione Cattolica fece già negli anni Settanta per giustificare l’abbandono della presenza culturale e sociale (in anni in cui dilagava il conformismo marxista).

Nel caso in cui il soccorso della Cei sia indirizzato al PD o al (possibile) partito di Renzi i vescovi dovranno anche spiegare l’appoggio a chi, quando era al governo, ha promosso leggi contrapposte alla sensibilità cattolica.  

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Antonio Socci

Da “Libero”, 9 dicembre 2018

Alla commemorazione della fine della Prima guerra mondiale, il presidente francese Macron ha esaltato il “patriottismo” (proprio) e ha “bombardato” quello altrui squalificandolo come “nazionalismo”. Ce l’aveva con il sovranismo dei paesi (come l’Italia) che non si vogliono sottomettere al nazionalismo di francesi e tedeschi.

Donald Trump, in un tweet, ha scritto che Macron cerca di parlar d’altro perché ha, in Francia, un livello di consenso troppo basso (il 26%) e un livello di disoccupazione troppo alto (circa il 10%). Poi Trump ha aggiunto: “a proposito, non c’è paese più nazionalista della Francia, gente molto orgogliosa, ed è giusto così”.

Insieme a Macron anche la Merkel ha tuonato contro il nazionalismo: ha detto che porta alla guerra. I due paesi più nazionalisti d’Europa, poco dopo aver dato queste “lezioni” agli altri, hanno realizzato un’intesa a due sul bilancio dell’eurozona, ovviamente penalizzante per l’Italia. L’ennesimo gesto di supremazia ed arroganza. Continua